Processo carcere di Ranza, agenti sul banco degli imputati per ore

Uno di loro ha risposto in aula: "Il trasferimento del detenuto? Operazione fatta bene grazie all'effetto sorpresa"

Di Redazione | 20 Maggio 2022 alle 19:30

Agenti di polizia penitenziaria sul banco degli imputati per ore e sotto l’incedere di domande di accusa e difesa su quanto accadde quell’11 ottobre 2018 nel carcere di Ranza a San Gimignano quando un detenuto, durante un trasferimento di cella sarebbe stato vittima un pestaggio da parte degli stessi agenti.

Sono cinque quelli oggi a giudizio e che devono rispondere dei reati di lesioni aggravate, falso ideologico e torture. In quindici erano invece quel pomeriggio nello stretto corridoio e nella cella 19, 4 metri per 4, per rispondere, direttamente o indirettamente, all’allarme radio “Personale in isolamento”. Gli altri dieci agenti sono già stati condannati in primo grado con il rito abbreviato.

Il detenuto, che era già stato in isolamento in regime disciplinare cautelare, secondo la ricostruzione degli agenti, si sarebbe reso protagonista la mattina di una condotta non consona nei confronti degli altri detenuti e degli agenti. Per questo con quello che la penitenziaria ha definito in aula “effetto sorpresa” è stato convinto con l’inganno ad uscire dalla cella per procedere al trasferimento. Il detenuto era infatti convinto di doversi recare a fare la doccia. Da lì il breve tragitto verso l’altra cella. Il tutto ripreso dalle telecamere di videosorveglianza. E quel video e quella interpretazione di trasferimento più o meno lecito nascondono la verità giudiziaria.

“E’ stata un’operazione fatta bene, l’effetto sorpresa ci ha consentito il trasferimento” ha risposto un agente in aula sottolineando: “operazione che rientra nella norma”.

“Credo che per comprendere il tipo di trasferimento e la situazione bisognerebbe che ognuno avesse lavorato all’interno di un istituto penitenziario e capisse quali sono le dinamiche e con chi ci si trova a che fare – ha detto a margine dell’udienza Manfredi Biotti, avvocato difensore dei 5 agenti -. Ovviamente questo non giustifica l’uso della violenza o le eventuali contestazioni mosse dal Pubblico Ministero ove queste fossero correte o meno; ma l’esame degli imputati di oggi credo che abbia chiarito, in molti passaggi, il perché si è svolto un trasferimento coattivo, quali erano le problematiche del detenuto, ma soprattutto quale era la necessità”.

Lei negli anni ha difeso sia agenti che detenuti, cosa prova in questo processo?

“E’ la legge del taglione, a volte si difendono le guardie e a volte i ladri. Credo che oggi questi ruoli si siano un po’ invertiti, confusi”.

In questo e in altri procedimenti quali sono le lacune che emergono nel sistema penitenziario?

“Dalla carenza del personale alla inadeguatezza delle strutture, dal punto di vista dei servizi e dal punto di vista di aree, educative o sanitarie. Non perché le persone che ci lavorano non siano adeguate ma perché c’è sempre carenza numerica. A mio modo di vedere il sistema avrebbe bisogno di un cambiamento radicale”.

Carenza numerica che si contrappone al fatto che in 15 agenti siano andati a fare il trasferimento di un detenuto…

“I filmati ci dicono che l’intervento è stato fatto materialmente da tre agenti, gli altri sono stati di contorno. Nessun altro è intervenuto o ha incentivato chissà cosa. Il numero di agenti presenti deriva da una precauzione perché il periodo del reparto isolamento era molto critico: c’erano infrazioni disciplinari, aggressioni, rivolte e risse ogni giorno. L’intervento è sicuramente deciso ma non rientra a mio parere in una condotta per come è stata contestata”.

“Dipende dall’accezione di normalità che ognuno ha” ha invece detto Michele Passione, avvocato del Garante Nazionale dei Detenuti (Parte Civile a processo) riferendosi alla definizione di “normale” data al trasferimento da un Agente in aula. “Non si è fatto cenno a nessuna disposizione che giustificasse questa modalità che a conti fatti si è rivelata non solo nociva per quello che è capitato ma anche per quello che, secondo le loro intenzioni, non doveva capitare. In quindici in spazi ristretti si cerca di prevenire una reazione che non c’è stata, come il video evidenzia, di un detenuto che non era pericoloso come loro stesso dicono. La normalità è un concetto relativo, per la mia accezione non è normale e per la Polizia Penitenziaria lo è in questo caso, il Tribunale lo deciderà”.

Cristian Lamorte



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