Il giorno dopo Siena continua a metabolizzare ciò che è successo: 58 anni di storia industriale, di lavoro e di famiglie che si intrecciavano con la vita di fabbrica, si sono chiusi mentre i lavoratori cantavano “Domani è un altro giorno”. Una scena carica di emozione, di memoria e di quella malinconia che solo le grandi mobilitazioni collettive sanno lasciare.
A Sette Giorni, i tre protagonisti della vertenza sindacale Beko, Massimo Martini (UILM UIL), Daniela Miniero (FIOM CGIL) e Giuseppe Cesarano (FIM CISL), hanno ripercorso non solo l’ultimo giorno, ma soprattutto il senso profondo di una battaglia che ha segnato la città.
Massimo Martini non riesce a trattenere la commozione né davanti alle immagini né nei ricordi: “È finita un’epoca. Dietro ci sono famiglie, c’è la comunità intera. Ma siamo riusciti a entrare nel cuore di una città chiusa come Siena, e questo è stato il vero valore della vertenza”. Per Martini, il domani non va temuto: “I nostri lavoratori hanno fiducia in noi e noi in loro. Avranno una prospettiva certa di un futuro lavorativo nuovo, con nuovi stimoli e un salario garantito”.
Daniela Miniero parla di “miracolo sindacale”, perché la parte ritenuta più debole al tavolo ministeriale – lo stabilimento di Siena – ha saputo ribaltare gli equilibri. “I lavoratori hanno rimesso al centro l’etica del lavoro: non un’appendice della vita, ma la vita stessa. Ieri è stato doloroso, perché chiudere un capitolo pieno di ricordi è sempre difficile. Ma se non si chiude una pagina non se ne apre un’altra”. Poi ripercorre un ricordo vivissimo: la lavoratrice che, piangendo davanti al Ministero, le disse: “Forza, siamo con voi, aiutateci”. E aggiunge che quello fu il momento in cui capì che quella non era solo una vertenza, ma una battaglia collettiva. Sulle prospettive future è chiara citando Luigi Tenco: “Non so dirti come, non so dirti quando, ma cambierà. E cambierà presto. Ora è tutto apparecchiato: pretendiamo un soggetto industriale”.
Giuseppe Cesarano vede nell’ultimo giorno “la chiusura di un capitolo”: “Beko ha fatto un’operazione commerciale, non industriale. Il vero lavoro comincia adesso: bonifica, nuova società, formazione. Bisogna guardare avanti”. E subito dopo fissa un punto chiave: “La velocità sarà tutto. Non possiamo permetterci un anno e mezzo con i lavoratori a casa: sarebbe devastante. Entro metà 2026 deve emergere un soggetto industriale, ed entro settembre 2027 deve essere definito il futuro del sito”.
Nel racconto di questi anni difficili, Cesarano ricorda anche i 16 mila chilometri fatti insieme ai colleghi nei viaggi a Roma e la consegna al Ministro Urso della pettorina con la scritta Beko:
“Questa vertenza ha unito caratteri e idee diverse. È una tesi di laurea sulle crisi industriali: un modello che va esportato”. Il suo messaggio finale ai lavoratori è netto: “Il passato è andato. Il futuro lo scriveremo insieme”.
Una vertenza che ha unito una città. Dalle parole dei tre sindacalisti emerge una certezza: la vertenza Beko non è stata soltanto un percorso sindacale. È stata una vicenda che ha coinvolto tutti, che ha costretto istituzioni, lavoratori e comunità a camminare insieme. Ed è proprio questo, forse, il lascito più significativo di questi 58 anni di storia industriale.