Mattinata inedita per i lavoratori di Beko in presidio di fronte ai cancelli dello stabilimento di viale Toselli. Una sorta di ritorno in classe per assistere ad una lezione tra antropologia e lavoro grazie ai ricercatori precari dell’università di Siena, che da subito hanno sposato la lotta dei lavoratori di Beko. Uniti dall’incertezza di un futuro occupazionale e professionale. E l’occasione è stata anche di una più ampia riflessione sul lavoro, sulla sua evoluzione, sul suo domani e, soprattutto, sul suo sfruttamento.
“Si tratta di restituire alla collettività e a chi produce la ricchezza del Paese il frutto di ciò che è poi il nostro lavoro di scienziati – ha spiegato Vincenzo Spagnolo, ricercatore precario Unisi -. Cioè noi vogliamo concepire l’università come un qualcosa che è della collettività, sia in senso universalistico, nel senso che chiunque deve avere diritto alla possibilità di poter accedere all’università, di poter fare determinati studi, di poter seguire un certo percorso di formazione anche magari di poter diventare ‘dottore’ come si diceva un tempo. Dall’altro lato anche però ciò che poi viene fatto all’interno dell’Università deve essere patrimonio della collettività e quindi la nostra in qualche maniera è una forma di protesta. Noi lottiamo insieme ai lavoratori e alle lavoratrici della Beko, così come lottiamo per la nostra vertenza, che è quella per un’università che sta crollando in pezzi e che vogliamo salvare dalla distruzione legata ai tagli, alla precarizzazione. Vogliamo restituire ciò che noi facciamo, facendo anche capire il nostro lavoro perché spesso siamo percepiti come dei privilegiati, dei professoroni e invece in realtà il lavoro universitario è abbastanza differente”.
“l valore di questa iniziativa è far capire che siamo parte di un unico tutt’uno sia ricercatori sia lavoratori – ha aggiunto Luigi Magnone, anche lui ricercatore precario -. Noi siamo ricercatori precari quindi come intende il termine stesso siamo tutti sulla stessa barca anche da questo punto di vista”