Caso delle “monache ribelli” di Pienza, un nuovo lungo e duro intervento dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò. Come si ricorda le tensioni sono nate per alcuni asseriti comportamenti (la vendita online e nei mercatini per strada di oggetti, alcuni post social) ritenuti dalle autorità religiose e superiori troppo disinvolti e fuori dalle regole. La vicenda ha interessato marginalmente anche i Carabinieri locali che hanno ascoltato alcune testimonianze e raccolto informazioni, e la Procura di Siena, che però non ravvisa reati o condotte da approfondire, con la vicenda che è da ricomprendere nel perimetro ecclesiastico. “Ciò conferma – principia Viganò – l’anomalia del ricorso al “braccio secolare” da parte della Curia e della Federazione benedettina, frettolosamente messo da parte perché palesemente abusivo e irregolare”.
L’Arcivescovo non lesina critiche alle autorità religiose e va in difesa delle monache: “Va parimenti ricordato che la decisione della Diocesi e della Federazione di diramare un comunicato contro le Monache ha suscitato clamore e comportato un grave danno alla reputazione delle Religiose, definite dalla stampa «suore ribelli» a causa delle accuse generiche e diffamatorie loro rivolte dall’Autorità ecclesiastica. Se le Monache si sono viste costrette a tutelare pubblicamente il loro buon nome, ciò si è reso necessario per l’imprudenza sin troppo disinvolta della Curia di Pienza”.
“Dopo la Visita Apostolica decisa dal Dicastero romano senza fornirne preventivamente le motivazioni e senza comunicarne gli esiti, le Monache si erano viste comparire a Pienza gli emissari del Vaticano che pretendevano di dare esecuzione a dei decreti non notificati regolarmente, e il 18 Febbraio avevano inviato – a norma del can. 1734, §1 – le loro Remonstrationes per chiedere di essere informate delle presunte accuse loro rivolte, in modo da potersi difendere. A tali Remonstrationes la Santa Sede avrebbe dovuto rispondere entro il termine di trenta giorni (can. 1735 CIC), ma questo non è avvenuto, aggiungendo un’ulteriore irregolarità a quelle già commesse. Il 20 Marzo viene invece recapitato un nuovo decreto del Dicastero, datato 14 Marzo e con protocollo 27887/2014, a firma del Prefetto Card. Braz de Aviz e del Segretario Mons. Rodriguez Carballo, con il quale si ribadiscono le decisioni assunte nel precedente decreto, con la sola deroga di una “concessione” di sessanta giorni di tempo alla Badessa e alla Priora per scegliere due distinte comunità in cui essere definitivamente trasferite. In sostanza, l’Autorità romana continua a non esplicitare né le motivazioni che hanno determinato la Visita, né i risultati della stessa che avrebbero dovuto essere indicati in una relazione finale. Questo lascia supporre che non sussistano motivi concreti alla base di tali provvedimenti e che l’azione del Vaticano sia del tutto pretestuosa”.
Ancora Viganò: “Va parimenti notato che il nuovo decreto cumula senza distinzione formale più disposizioni, destinate alle Religiose come Comunità e come singole Suore, alle Monache e alle loro Superiore. E se nel primo decreto si parlava di «particolari condizioni della comunità», nel secondo l’espressione «a seguito delle criticità emerse dalla Visita Apostolica» non aggiunge nessun elemento ulteriore che legittimi i provvedimenti disciplinari assunti. Essa evidenzia piuttosto il maldestro tentativo di dare arbitrariamente corpo ad accuse indeterminate e inespresse (can. 36, §1). E occorre aggiungere che nessun ammonimento o rimprovero è mai stato formulato prima di disporre la Visita, né all’intera Comunità né alle Superiore. Se dunque lo scopo dell’azione disciplinare – come richiede la Carità (Mt 18, 15-18) ancor prima che il diritto – è la correzione di una mancanza, risulta evidente per le Suore l’impossibilità di emendarsi da una colpa che non è mai stata nemmeno accennata: davvero un modo singolare di «animare e regolare la prassi dei consigli evangelici» da parte del Dicastero a ciò preposto”.
Continua l’Arcivescovo: “Al di là del fatto che il decreto si riferisca indistintamente a più destinatari, desta sconcerto che esso simuli una qualche mitigazione delle disposizioni precedentemente assunte nei riguardi della Badessa e della Priora, laddove concede alle due Religiose la possibilità di scegliere due Monasteri distinti – in modo da separarle e isolarle in vista di una loro “rieducazione” – anziché esclaustrare la Badessa e spedire la Priora nel “monastero” di Bose, ben noto per le sue posizioni ultramoderniste e per l’assoluta assenza di carisma benedettino e di vita claustrata. Questo patetico tentativo di offrire alle Superiore una soluzione alternativa all’esclaustrazione o alla rieducazione a Bose ha evidentemente lo scopo di indurre le due Monache, sotto la pressione degli eventi e dello stress emotivo causato dalla vicenda, a rinunciare al loro sacrosanto diritto a una difesa che ne dimostri l’assoluta estraneità a qualsiasi accusa. E questo è dovuto alla volontà di non dover giungere alla formulazione esplicita di accuse che si dimostrerebbero pretestuose e inconsistenti. Non solo: il nuovo decreto non spiega per quale motivo la severa decisione del precedente sia stata modificata con un’altra che, per quanto meno grave, rimane comunque ingiustificata finché non vengano contestate nello specifico le presunte mancanze genericamente indicate come «criticità»”.
“In pratica, il Dicastero si rifiuta di formulare le accuse dalle quali la Badessa, la Priora e tutte le Monache di Pienza dovrebbero potersi difendere; e si limita a ridurre parzialmente la pena di un delitto non esplicitato, per indurle a cedere al solo scopo di evitare peggiori punizioni. Definire questo comportamento scandaloso e ricattatorio è dir poco, specialmente da parte di chi nel 2018 esortava le Claustrate – con linguaggio peraltro irrispettoso – a non lasciarsi manipolare «anche se sono vescovi, cardinali, frati o altre persone». Viene dunque negato alle Monache ogni più elementare diritto alla difesa, rendendo ancor più devastante il pregiudizio di immagine e di reputazione delle Religiose. Il decreto non accenna nemmeno alle modalità di eventuale impugnazione, mentre lede i diritti della Badessa e del Capitolo che si vedono illegittimamente e immotivatamente usurpato l’esercizio del proprio ufficio (cfr. can. 1375, §1)”.
“Il nuovo decreto del 14 Marzo, come detto, si riferisce indistintamente a più destinatari: da un lato esso conferma le disposizioni del decreto precedente per quanto riguarda la Comunità, mentre dall’altro imparte nuove disposizioni nei riguardi della Badessa e della Priora. Le disposizioni riguardanti la Comunità, in quanto confermano quanto già disposto nel precedente decreto, non possono costituire l’oggetto di una nuova Remonstratio presso il Dicastero, ma di un Ricorso presso il Tribunale della Segnatura Apostolica – la “corte suprema” della Santa Sede. Detto Ricorso è stato prontamente inoltrato dalle Monache lo scorso 30 Marzo. La Badessa e la Priora, invece, essendo destinatarie di nuove disposizioni, lo scorso 30 Marzo hanno presentato al Dicastero due nuove Remonstrationes, con le quali chiedono la revoca delle disposizioni del decreto del 14 Marzo e l’accesso agli atti. Tra questi vi è l’intera documentazione relativa all’erezione canonica del Monastero “Maria Tempio dello Spirito Santo”, che come abbiamo visto nella prima parte del nostro intervento, sono stati manipolati dal precedente Ordinario di Pienza, mons. Stefano Manetti; e così pure gli atti che hanno condotto a disporre la Visita Apostolica e quelli concernenti la relazione finale della medesima. Le Monache chiedono parimenti che vengano date spiegazioni sull’uso quantomeno anomalo di un medesimo numero di protocollo per documenti diversi”.
“La vicenda del Monastero di Pienza fa emergere, ancora una volta, la situazione disastrosa in cui versa la Curia Romana. Il Dicastero presieduto da Braz de Aviz, in particolare, dimostra di non saper nemmeno dare parvenza di legittimità agli atti che emana, sommando l’arroganza e l’autoritarismo del Prefetto e del Segretario all’incompetenza e all’approssimazione del personale preposto alla redazione dei documenti. Dinanzi a certi errori macroscopici ci si chiede se i decreti siano sottoposti al controllo di un canonista, e come sia possibile – se non ricorrendo al “copia-incolla” di un elaboratore di testi – che addirittura i numeri di protocollo siano inaffidabili”.
“Rimane da vedere se, a questo punto, a Roma vi sarà qualcuno che si rassegnerà a seguire le norme canoniche e soprattutto ad agire con giustizia, perché in gioco non vi è solo l’immagine della Sede Apostolica – già ampiamente compromessa – ma la vita e la serenità di tredici Monache che hanno la sola colpa di voler seguire il Signore secondo il carisma benedettino e nella Tradizione. L’alternativa che si prospetta è il perpetuarsi di un clima tirannico più volte denunciato dagli sventurati che lavorano nella Curia Romana, ricorrendo alla via estrema delle sanzioni contro le Religiose. E questo sarebbe ancor più scandaloso, se solo lo si confronta con altri casi davvero gravi per i quali è garantita la massima indulgenza se non la totale impunità. Lo scandalo della remissione della scomunica per il sacrilego e pervertito padre Rupnik – i cui orrendi e costosissimi mosaici sconciano le chiese dell’urbe e dell’orbe – dovrebbe far comprendere la disparità di trattamento riservata ai nepotes di Santa Marta, che il Card. Mueller ha icasticamente compendiato, rilevando come gli amici di Bergoglio godano di uno status privilegiato, mentre i nemici sono oggetto delle più spietate malversazioni”.
“Se il secondo decreto del Dicastero per gli Istituti Religiosi e le Società di Vita Apostolica non ha in alcun modo contribuito a restituire serenità alle Monache, non si può dire che l’azione delle benedettine della Federazione Picena abbia dato prova di sensibilità e rispetto nei loro riguardi. Madre Daniela Vacca – designata dal Dicastero come amministratrice e incaricata di designare la nuova Superiora – si è nuovamente presentata alle porte del Monastero assieme a un’altra religiosa, citofonando e telefonando compulsivamente per ore nel tentativo di entrare, nonostante l’esecutività del decreto fosse sospesa dal ricorso presentato dalle Monache, al punto da costringere Madre Diletta ad intimare loro che avrebbe chiamato i Carabinieri se non se ne fossero andate”.
“È poi stato il turno di altre suore del Monastero di provenienza delle Monache di Pienza – “Santa Maria delle Rose” di Sant’Angelo in Pontano – venute anch’esse a tentare un’incursione per convincere le consorelle a cedere. Non è dato sapere a che titolo queste religiose si siano presentate, chi le abbia inviate e chi infine le abbia autorizzate ad infrangere la clausura cui sono tenute. Il pretesto era ovviamente innocente: accertarsi che stessero bene e che stessero agendo liberamente, senza costrizioni da parte delle Superiore. Ma non avevano già verificato questi aspetti i Carabinieri, per i quali non vi era alcun elemento a supporto dei sospetti insinuati che fossero subornate o manovrate psicologicamente? E quale sollecitudine ipocrita, questa, se si considera che né la Santa Sede né tantomeno la Curia si sono preoccupate di garantire i mezzi di sussistenza materiali – giungendo a vietare ogni sostegno economico al Monastero – e spirituali, costringendo le Suore a spostarsi per chilometri per poter assistere alla Messa e alle celebrazioni del Triduo Pasquale!”.
Sottolinea poi Viganò: “La vita religiosa delle Monache di Pienza è stata gravemente compromessa da una grottesca sequela di aggressioni, minacce e intimidazioni che hanno coinvolto la stampa e hanno danneggiato non solo la loro reputazione, ma anche la loro pace interiore e il loro benessere psicofisico. E tutto questo per quale motivo, e a che scopo? Al di là degli interessi economici dei subalterni, interessati a sloggiare le Suore per disporre dell’ex-Seminario e destinarlo a centro di accoglienza per profughi o venderlo per farne un lussuoso resort, è evidente la volontà del Dicastero di punire le Religiose per la loro decisione di avvicinarsi alla Tradizione e alla Messa antica, nel contesto di un attacco generalizzato ai Monasteri di vita contemplativa. Questo crimine di “leso Concilio” – ed ancor più di “lesa maestà” nei confronti di Bergoglio e dei suoi zelantissimi tirapiedi – ha ottenuto come risultato di persuadere le Monache circa la necessità di abbandonare definitivamente il rito riformato e di abbracciare esclusivamente la Liturgia tradizionale. E se un atteggiamento più prudente e paterno avrebbe forse ritardato questo processo di “conversione”, l’arroganza e l’autoritarismo del Dicastero, della Diocesi e della Federazione Picena hanno rafforzato la determinazione delle Monache, rinsaldando il legame comunitario, la fedeltà alla Badessa e la loro unanime volontà. Non si può dire che il Vaticano ne esca bene: forte coi deboli e debole coi forti, come sempre avviene quando si preferisce seguire la mentalità del mondo e rinnegare i principi del Vangelo. Spiace constatare che – qualsiasi sia la decisione delle Autorità coinvolte – l’ultima cosa che interessa ai mercenari che infestano la Curia Romana è esercitare concretamente quella Carità che troppo spesso abbiamo sentito menzionare a parole, mentre praticano al massimo grado quel “clericalismo” contro cui il loro capo si è scagliato più e più volte”.
Una raccolta fondi a sostegno delle monache: “E mentre i burocrati romani non esitano a privare questa Comunità dei mezzi di sussistenza, le Monache si organizzano per fronteggiare le necessità più urgenti fondando l’Associazione “Maria Tempio dello Spirito Santo”. Questa iniziativa darà modo ai fedeli – anch’essi vittime di queste scandalose epurazioni – di testimoniare concretamente il loro appoggio alle Religiose, che rappresentano un riferimento spirituale indispensabile nel tessuto ecclesiale locale. Sarà interessante vedere come il Vaticano si porrà dinanzi al sostegno dei laici, che i fautori del “sentiero sinodale” bergogliano sembrano considerare importanti nella Chiesa. L’Associazione permetterà ai fedeli di aiutare le Monache con donazioni, lasciti o legati, e in seguito sarà anche possibile destinare all’Associazione il “5 per mille” con la dichiarazione dei redditi. “Chi volesse aiutare le Monache potrà quindi inviare la propria offerta al conto intestato all’Associazione “Maria Tempio dello Spirito Santo” presso il BancoPosta, all’IBAN: IT84Q0760114500001065644401. Ma se l’aiuto materiale alle Monache è certamente importante, non meno importante è l’aiuto spirituale, che ciascuno di noi può donare loro con la preghiera e con la penitenza, mettendo a frutto questi giorni della Settimana Santa”.