Caso Siena Jazz, Stefano Battaglia non suona per protesta

Il noto musicista e docente del Siena Jazz: "Preoccupato dalla situazione che si è venuta a creare a Siena negli ultimi mesi ho deciso personalmente di far emergere i disagi comunicando il malessere e rinunciando a qualsiasi esibizione pubblica sino a che non si saranno chiarite, affrontate e superate le difficoltà di gestione di un'Istituzione, Siena Jazz, alla quale offro il mio contributo appassionato da oltre trentanni"

Di Redazione | 27 Luglio 2021 alle 12:48

Caso Siena Jazz, Stefano Battaglia non suona per protesta
Ieri sera si sarebbe dovuto tenere il concerto di Stefano Battaglia – noto pianista e compositore milanese – con Paolino Dalla Porta, Fabrizio Sferra , ospite Theo Bleckmann programmato nella stagione concertistica di Siena Jazz. Per le note vicende intorno a Siena Jazz Stefano Battaglia ha deciso di non suonare per protesta, spiegando le sue ragioni in un lungo intervento.
Dal 1988 Battaglia insegna presso Siena Jazz, dove è docente di tecniche dell’improvvisazione per il triennio e per il biennio di Siena Jazz University. Dal 2018 è docente presso l’Accademia Chigiana e dirige il progetto Tabula Rasa – Chigiana Siena Jazz Ensemble

“Preoccupato dalla situazione che si è venuta a creare a Siena negli ultimi mesi ho deciso personalmente di far emergere i disagi comunicando il malessere e rinunciando a qualsiasi esibizione pubblica sino a che non si saranno chiarite, affrontate e superate le difficoltà di gestione di un’Istituzione, Siena Jazz, alla quale offro il mio contributo appassionato da oltre trentanni.

Solo chi fa concerti può comprendere quanto mi costi sul piano della rinuncia scegliere di non suonare in un periodo di lunga carestia com’è quello che stiamo vivendo da un anno e mezzo, ma salire su un palco è un privilegio ed una responsabilità. Perchè sia utile alla comunità deve poter essere sempre salva la dimensione di senso e di significato del concerto, ciò che determina l’anello virtuoso tra chi suona e chi ascolta. Il rito musicale.

Questo senso ed il suo circuito si fonda su precisi principi motivazionali, e troppe nubi interferiscono in questo circuito, il mio cuore si è fatto pesante. Il perchè suono è dato dalla mio senso di appartenenza universale alla musica e a tutte le comunità che liberamente partecipano in modo etico alla sua diffusione ed espansione, come segno sublime della nostra civiltà: ed è sempre un privilegio poter essere parte di questo processo. Il come è parte della mia responsabilità di musicista, sapendo che suonare bene significa in sintesi essere presenti con il corpo, la mente e lo spirito (o il cuore, se si vuole) e le sue ragioni.

Oggi per chi si suona? Chi e cosa si celebra? C’è bisogno di attenzione e di riflessione, non di proseguire ciecamente, purchè sia. La mia personale sospensione varrà sino a quando a Siena Jazz non si saranno definitivamente chiariti sia gli scenari interni alla struttura, sia quelli esterni di relazione con la politica culturale della città, in piena solidarietà con il direttore/fondatore Franco Caroni. Le due parti in causa al momento o non hanno volto (Siena Jazz senza un direttore artistico e con il suo fondatore dimissionario) oppure ne hanno uno che ad oggi preoccupa a causa di possibili potenziali ingerenze (la politica, incarnata nel suo sindaco). Per la prima volta dopo trentaquattro anni di collaborazione ho la sensazione sgradevole di non sapere per chi e per cosa io stia lavorando e dunque, per mia etica personale, rimando ogni eventuale nuova sinergia a quando questi volti saranno di nuovo chiari, trasparenti e condivisi.

Il disagio profondo di questa vicenda non è esclusivamente legato al mancato dialogo tra chi ha preso decisioni autonome (Presidente Siena Jazz e Comune di Siena) e il soggetto che ne subisce le conseguenze (Siena Jazz): dato che la politica dovrebbe essere etica ad un livello superiore, nel senso che la scelta di una decisione chiede la valutazione delle volontà di un numero ben più ampio di persone rispetto a quello delle persone coinvolte in un normale confronto, qui si tratta di una mancanza di conoscenza e di competenze utili a comprendere questa responsabilità più ampia, che coinvolge non solo un Sindaco, un Presidente, un Direttore e una associazione qualsiasi, ma una Istituzione internazionale della didattica e consequenzialmente diverse migliaia di persone tra struttura organizzativa, docenti e studenti (passati e presenti, in tutti i casi provenienti da varie zone del mondo) che negli anni hanno vissuto l’esperienza e contribuito al progetto Siena Jazz. Inaccettabile e personalmente irrimediabile da un punto di vista personale, umano e professionale questo mancato dialogo, questa “distrazione” che il Presidente si è concesso nei nostri confronti.

Esiste a Siena qualcosa di più etico e politico al contempo di Siena Jazz? Etico per ragioni di autonomia culturale e politica, di indipendenza e purezza dei contenuti, assenza di lucro, assenza di vuota ricerca del consenso; politica perchè riesce a fare politica culturale trans partitica, senza doversi schierare o far emergere un’appartenenza, producendo prestigio per la città. Sottolineo a questo punto la parola straordinarietà perchè quello che ci si para davanti è una (giusta) normalizzazione strutturale, dal momento in cui il suo fondatore Franco Caroni andrà in pensione. Ma non una normalizzazione nella visione. Bene che da struttura verticistica polarizzata attorno ad una sola persona si passi a struttura dirigenziale
corale nella quale ogni cosa andrà condivisa. Ma non riesco a vedere questo passaggio senza la figura del suo creatore, perchè il rischio è proprio quello di smarrire la visione che è il cuore, la straordinarietà del progetto, ciò che ne ha determinato l’eccellenza a livello mondiale. Dunque normalizzazione sì, ma non ridimensionamento, livellamento o mediocrizzazione, addirittura banalizzazione. La natura straordinaria di Siena Jazz va protetta, e solo il suo fondatore può trasferirla a chi lo succederà, nei prossimi mesi.

Un’anno durissimo per noi, a Siena Jazz. Durissimo e affrontato con coraggio, lavorando. La pandemia vissuta garantendo lo svolgimento di tutte le attività musicali in presenza, recuperando ogni vuoto creato dai vari momenti nei quali siamo stati zona rossa, senza nemmeno perdere un’ora di lezione tra pre-accademico, Triennio e Biennio universitario, il Laboratorio Permanente di Ricerca Musicale. Tutto avvenuto senza alcuna conseguenza negativa, sia dal punto di vista sanitario che didattico, in un equilibrio virtuoso e imparagonabile a qualsiasi altra realtà nel mondo. In autunno poi la perdita improvvisa di Alessandro Giachero, un amico, grande musicista e insostituibile insegnante; infine la transizione a cui la struttura è chiamata per preparare il passaggio inevitabilmente doloroso, accettabile solo se percepito da tutti come naturale avvicendamento, ricambio generazionale, e non un’invasione di campo: serve una distribuzione delle responsabilità e figure competenti che proveranno a proiettare il progetto nel futuro, che tutti ci auguriamo eterno.

Mi rendo conto che la somma delle ragioni che mi spingono ad incrociare le braccia sono qui indicibili per quantità: in sintesi si potrebbe dire una montagna, una vita espressa attraverso il racconto del fare, la quantità incredibile di lavoro condiviso in questi decenni, il dialogo operoso e silenzioso tra quanto edificato dal 1977 da Caroni e i miei 37 anni di lavoro esclusivo sprigionati al Siena Jazz, prima come studente nel 1984 e poi dal 1988 come maestro, di fatto -spero- incarnando il circuito virtuoso della continuità, la bontà e la qualità del lavoro svolto dalla struttura e dai suoi maestri. In questi 40 anni non sono in grado di calcolare quante migliaia di ore di musica, quante migliaia di anime sono trascorse e passate qui, più volte, tornando ancora ed ancora, dimostrando quanto sia prezioso per tutti un luogo di cultura e libertà. Quando dico per tutti intendo proprio tutti, compreso la politica: cosa c’è di più opportuno, per la politica culturale di un territorio, di un luogo che esprime presenza, inclusione, condivisione da tutto il mondo attorno a valori sublimi come sono quelli dell’espressione musicale? Cosa esiste di più opportuno del senso gioioso e socialmente propulsivo della comunità che la musica riesce a raccogliere attorno a sè, e che al contempo agisce opportunamente su di un piano concreto, di visibilità, prestigio, persino di indotto commerciale? Parlo di politica culturale perchè duole dover sempre ricordare che cultura è una parola che ha a che fare con la cura, la semina, la coltivazione, la consistenza, la perseveranza, la pazienza. Tutte cose che l’Italia agricola e la sua storia (la Toscana tra le più privilegiate in tal senso) ha davanti agli occhi ogni giorno semplicemente osservando la natura e la sua ricchezza e che troppo spesso la politica dimentica di trasferire anche nei gesti determinati di umana civiltà, nel sostegno all’istruzione, alla cultura e all’arte. Dimentica che è opportuno anche per sè averne cura, e che è opportuno coltivarli con saggezza, quei valori. Il commercio e l’alta finanza se li porta via il vento, la cultura rimane, è lei il segno della civiltà che resta ha testimonianza di quanto espresso dall’uomo sul pianeta. Vogliamo immaginare Siena Jazz nel 2200? Bene, non possiamo sbagliare il primo passaggio di consegne, quello tra il suo ideatore fondatore e l’immediato futuro.

La competenza nella musica è un valore importante quanto nella medicina o nell’ingegneria. Non è pensabile affidare un tempio della didattica a (in?)competenze scelte dalla politica, dunque senza esperienze specifiche. Sarebbe un disastro non solo per Siena Jazz, ma anche per la politica che ne sta determinando il corto circuito: nel calcio si direbbe il più classico degli autogol. L’assenza di questa sensibilità compie il miracolo al contrario, dunque il sacrilegio, di diventare inopportuna non una, non due, ma ben tre volte: da un punto di vista umano prima di tutto (ma questo è un romanticismo personale legato ai valori dell’umanesimo del quale la nuova politica manageriale difficilmente si lascia attrarre), da un punto di vista tecnico (ogni transizione deve essere preparata attraverso un passaggio di almeno un anno, proprio per favorire la trasmissione di competenze) e da un punto di vista dell’immagine, verso la quale la politica dovrebbe invece essere sensibile, per sopravvivere e ottenere consenso: e questo rende inspiegabile l’errore, ad oggi.

Il danno è già stato fatto, determinato da questo clamoroso fuori-tempo che ha creato sconcerto sia nel corpo insegnanti che non sa se confermare le disponibilità per la prossima stagione, sia per gli attuali studenti che non sanno se potranno terminare il ciclo degli studi di Triennio e Biennio circondati dalla qualità sin qui ricevuta, sia per gli studenti futuri che difficilmente parteciperanno alle ammissioni per le prossime stagioni senza che vi siano le normali garanzie strutturali universitarie ed una visione chiara e certa. Questo mosaico di errori ed incompetenze si incarna prima di tutto non valutando attentamente (sia da un punto di vista umano che tecnico specifico) quello che un certo disumano realismo sociale americano definisce il capitale umano. Quanto vale Franco Caroni? Quanta fede, quanta umanità, quanta forza determinata ha dovuto sprigionare per costruire dal nulla un luogo che attira giovani studenti e musicisti da tutto il mondo? Quanta politica ha dovuto attraversare in autonomia attraverso il fare? Quanta esperienza ha dovuto accumulare per trasformare una piccola associazione di appassionati in uno dei poli di riferimento per il jazz mondiale, sia da un punto di vista didattico che organizzativo? Quanta passione ci vuole per concepire il lavoro in termini esclusivamente nobili, di investimento, scevro da ambizioni di guadagno, dunque separato dalla professione? Quante competenze e incarichi ha coperto nel corso dei decenni, e consequenzialmente quanti relativi stipendi mai incassati avrebbe dovuto incassare? Quanti direttori amministrativi, direttori generali, direttori artistici e direttori didattici impegnerebbero la propria casa per ottenere un finanziamento nei tempi utili? Il suo fare è divenuto nel tempo cultura perchè frutto consistente di semina, cura, coltivazione, perseveranza e una pazienza che assomiglia ad una fede, proprio come talvolta solo le grandi passioni sono in grado di determinare.

A tutti noi sembra ovvio ed inevitabile che Franco debba lasciare nei suoi giusti tempi, e attendiamo il 2022 con una certa preoccupazione, fiduciosi di ricevere da lui -e non da altri- i segnali di questo passaggio delle consegne. Ora arrivano invece notizie che disegnano scenari grotteschi, se non inquietanti: il Presidente Bizzarri, la cui passione e le cui competenze specifiche utili al progetto Siena Jazz al momento purtroppo nessuno tra noi ha potuto intravedere, osa trasformare lo statuto in autonomia e/o con la sola complicità della politica senza concertare le modifiche con il suo attuale Direttore e fondatore vivente? Senza condividere con la struttura? Ascoltare i dipendenti? Intervistare gli insegnanti? Anche solo per un fatto di sensibilità, umanità ed intelligenza. Non uso il termine intelligenza in senso universale e tanto meno offensivo, ma di opportunità etico-politica, perchè si dovrebbe aver coscienza che nessuno, ma proprio nessuno accetterà questa transizione senza la presenza -logica- di Caroni.

Io per primo sono pronto a dimettermi e trasferire altrove il mio lavoro, dopo 34 anni. E’ la conseguenza della mancanza di cura e comunicazione, nell’errata gestione dei contenuti di condivisione, considerazione e rispetto, infine per i modi e i tempi clamorosamente sbagliati attraverso i quali sono emerse inspiegabili diatribe interne che minano il futuro ed il progetto nel suo insieme, sia come immagine e prestigio che di concreta sopravvivenza nella sua autonomia. Davvero sta succedendo questo? Davvero la politica attuale è tanto inelegante da ipotizzare la riforma la chiesa senza coinvolgere S.Pietro? Solo Caroni stesso può (e deve) partecipare alla transizione perchè Siena Jazz gli sopravviva e rimanga patrimonio culturale proiettato nel tempo. Sembra proprio che la verità sia di chi se ne appropria. Non può e non deve essere così. In questo caso la verità vera esiste e noi tutti che lavoriamo in questa verità da più di trentanni la conosciamo bene: ci sono così tante memorie vive, musicisti di ogni età e provenienza che possono raccontare la verità del Siena Jazz, che davvero è impensabile immaginare ed accettare che possa concretizzarsi ciò che sembra in atto.

Lo scenario che auspico è quello di riportare tutto ad un principio naturale attraverso le scuse e le dimissioni immediate dell’attuale Presidente con la riscrittura dello statuto condivisa con Caroni attraverso il suo ritiro delle dimissioni; oppure che il Sindaco non accetti le sue dimissioni. Per affrontare nel miglior modo la transizione si debbono evitare ingerenze ed invasioni di campo: gli incarichi di competenza musicale (direttore artistico e didattico) non potranno mai e poi mai essere appannaggio della politica e responsabilità di qualcuno eletto al di fuori del consiglio interno (direttore, struttura e docenti).

Se non vogliamo evocare antiche lugubri ingerenze onde evitare di incorrere nelle noiose polemiche in termini, sempre svilenti e spesso strumentalizzate, il concetto di inopportuna arroganza politica però sembra legittimamente spendibile. A meno di un rapido cambio di rotta. Credo come tutti che sia eticamente corretto affidare alla politica l’amministrazione ed il suo direttore, loro sì eletti dal consiglio comunale in quanto riferimento politico del territorio e principale sostegno economico del progetto. E attendersi la stessa trasparenza con la quale è stato gestito il progetto per oltre quarant’anni. Chiudo esprimendo sconcerto nei confronti di molti colleghi che, confondendo opportunità con opportunismo si dicono a parole sempre indignati di qualcosa, brontolano e scuotono la testa nei corridoi, si lamentano ad alta voce nelle tavolate o in toni più smorzati dinanzi al microfono, poi salgono inevitabilmente sul palco sorridendo come se nulla fosse, magari con in tasca una tessera di qualche ambiziosa associazione nazionale. Suonano, fanno il loro concerto diventando per inerzia complici loro stessi del malessere. La forza del Teatro delle Marionette, a cui va la mia simpatia, si basa sul principio per il quale la marionetta non sa di essere tale, naturalmente”.



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