La candidatura della cucina italiana a patrimonio culturale immateriale dell’umanità ottiene il primo via libera tecnico dell’UNESCO. Un passo storico, che riconosce il valore universale del modello alimentare italiano: qualità, identità territoriale, saperi artigianali e quel legame profondo tra persone, luoghi e tradizioni che rende la nostra tavola un unicum nel mondo.
La decisione finale arriverà dal Comitato intergovernativo il 10 dicembre a Nuova Delhi, ma il parere positivo degli esperti apre la strada a un risultato atteso da anni. Ed è proprio su questo percorso che interviene Mauro Rosati, direttore della Fondazione Qualivita, da sempre impegnata nella tutela delle produzioni DOP, IGP e biologiche.
“È una bella notizia, il risultato di un percorso importante che dura da anni – commenta Rosati -. Un lavoro portato avanti da molte realtà, dalla Fondazione Casa Artusi al magazine La Cucina Italiana, che hanno promosso la candidatura e dato impulso a un progetto culturale di ampio respiro”.
Il direttore di Qualivita ricorda come il via libera tecnico rappresenti solo il primo passo: “Siamo al primo step. La commissione tecnica ha votato positivamente, adesso aspettiamo la votazione politica del 10 dicembre a Nuova Delhi, dove si deciderà l’esito finale del riconoscimento”.
La Fondazione Qualivita si prepara intanto a celebrare i suoi 25 anni con una pubblicazione speciale: il nuovo Atlante Qualivita edito da Treccani.
“Se la candidatura verrà approvata – spiega Rosati – l’Atlante conterrà una prefazione del premier Giorgia Meloni e un contributo di quattro grandi chef italiani. Sarà una delle prime opere enciclopediche a dare sostegno a questo importante riconoscimento, che speriamo di vedere confermato proprio nei giorni dell’uscita del volume”.

Rosati ci tiene a chiarire un punto spesso frainteso: “Il patrimonio immateriale della cucina italiana non riguarda piatti o ricette, ma la convivialità. È la capacità tutta italiana di mettere insieme le persone intorno a un pranzo, far conoscere prodotti, creare dialogo. Questo è il valore culturale riconosciuto dall’UNESCO. Lo ritroviamo nelle aziende, nelle cantine, nei caseifici,… che accolgono turisti e visitatori offrendo non solo degustazioni, ma momenti di conversazione. È lì che nasce la cultura viva del cibo italiano”.
Il valore della cucina italiana sta dunque nella sua artigianalità e nella trasparenza dei processi produttivi: “Non siamo chiusi nelle industrie, ma dentro caseifici, prosciuttifici, luoghi dove si può vedere come si fa il cibo – sottolinea Rosati –. I prodotti DOP e IGP non sono solo ingredienti straordinari, ma portatori di identità e cultura“.
Per questo, l’eventuale riconoscimento UNESCO assumerebbe un significato ancora più ampio: un incoraggiamento a continuare sulla strada della qualità, della sostenibilità e dell’identità territoriale che da sempre contraddistingue il Made in Italy agroalimentare.
Ora l’attesa è concentrata sulla data segnata in rosso: il 10 dicembre, quando arriverà la decisione finale. Qualivita si dice pronta. E, comunque vada, questo primo sì segna già un traguardo che racconta l’essenza più autentica della nostra cucina: un patrimonio condiviso, fatto di persone che si incontrano attorno a una tavola, di territori che parlano attraverso i loro prodotti e di un sapere artigianale che continua a essere un esempio nel mondo.