La legge regionale della Toscana sul fine vita non è illegittima nella sua interezza. A stabilirlo è la Corte costituzionale che, con la sentenza numero 204 depositata oggi, ha respinto le censure del Governo sull’impianto complessivo della norma, dichiarando incostituzionali solo alcune singole disposizioni ritenute eccedenti le competenze regionali.
Il ricorso dell’Esecutivo mirava a colpire l’intera legge regionale numero 16 del 2025, approvata dal Consiglio regionale lo scorso febbraio e costruita nel solco delle indicazioni contenute nella storica sentenza Dj Fabo/Cappato (n. 242 del 2019) e nelle successive precisazioni della Consulta. Ma la Corte ha chiarito che la Regione poteva intervenire, purché limitandosi a profili organizzativi e procedurali della sanità.
Nessuna bocciatura totale: la legge regge
Secondo i giudici costituzionali, nel suo complesso la legge toscana è riconducibile all’esercizio della potestà legislativa concorrente in materia di tutela della salute e persegue l’obiettivo di disciplinare in modo uniforme l’assistenza sanitaria alle persone che, trovandosi nelle condizioni stabilite dalla Corte stessa, chiedano di essere aiutate a morire.
La Consulta ha quindi ritenuto non fondate le questioni sollevate contro la legge nel suo insieme e contro le disposizioni sull’organizzazione del servizio sanitario regionale, riconoscendo che le Regioni possono intervenire per dare attuazione alle pronunce costituzionali, in assenza di una legge statale, purché senza invadere ambiti riservati allo Stato.
Un passaggio che assume un peso politico e istituzionale rilevante, perché ribadisce indirettamente come, a sei anni dalla sentenza del 2019, il legislatore nazionale non abbia ancora colmato il vuoto normativo sul suicidio medicalmente assistito.
I limiti: quando la Regione supera le competenze
Accanto al via libera all’impianto generale, la Corte ha però dichiarato l’illegittimità costituzionale di specifici articoli e commi, ritenuti oltre i confini delle competenze regionali. In particolare, è stato censurato l’articolo 2, che individuava direttamente i requisiti per l’accesso al suicidio medicalmente assistito rinviando alle sentenze della Consulta: secondo la Corte, alle Regioni è precluso “cristallizzare” principi ordinamentali in materie di ordinamento civile e penale, riservate allo Stato.
Sono state inoltre dichiarate incostituzionali alcune norme che attribuivano alle commissioni sanitarie regionali poteri troppo ampi di regolazione dell’intera procedura, così come quelle che fissavano termini stringenti per le verifiche o che evocavano livelli di assistenza sanitaria ulteriori ai Lea, interferendo con competenze statali.
Censurato anche l’articolo che impegnava le aziende sanitarie ad assicurare supporto tecnico e farmacologico, perché non configurabile come mera attuazione di principi statali già esistenti.
Il messaggio della Consulta al Governo
Pur entrando nel dettaglio dei limiti, la sentenza lancia un messaggio chiaro: l’assenza di una legge statale resta il vero nodo irrisolto. La Corte ribadisce che le condizioni per l’accesso al suicidio medicalmente assistito derivano da sue pronunce e che spetta al Parlamento disciplinare in modo organico la materia, come richiesto già nel 2019.
Un richiamo che pesa, soprattutto alla luce del tentativo del Governo di ottenere l’abrogazione totale della legge toscana, tentativo che non ha trovato accoglimento.
Giani: “Passaggio storico, la Toscana ha indicato una strada”
Il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, ha espresso, sui suoi canali social, soddisfazione parlando di un “passaggio storico”: “La Corte costituzionale riconosce alla Toscana la legittimità di legiferare sul fine vita. La Consulta conferma il lavoro fatto dalla Regione in una fase in cui lo Stato è rimasto fermo, nonostante l’invito esplicito a intervenire già dal 2019”.
“La sentenza – aggiunge Giani – dice una cosa netta: le Regioni possono e devono fare la loro parte quando sono in gioco diritti, dignità e tutele delle persone”.
Nessuno stop politico
La conclusione è chiara: la legge sul fine vita non è stata bocciata. La Corte ne ha confermato l’impianto, correggendone alcuni aspetti per ricondurli nell’alveo delle competenze regionali. Una risposta netta a chi auspicava uno stop politico e ideologico.
La Toscana ha scelto di non voltarsi dall’altra parte, assumendosi una responsabilità che lo Stato da anni, da decenni, continua a rinviare. Ora la palla torna al Parlamento, chiamato – ancora una volta – a dare una risposta legislativa a una questione che la Corte costituzionale ha aperto ufficialmente da oltre sei anni.