Si è chiuso questo pomeriggio, presso il Tribunale di Siena, il processo a carico di un cittadino ghanese, classe 1993, senza fissa dimora, imputato per atti persecutori e minacce nei confronti dei suoi ex datori di lavoro, titolari di un ristorante di Sovicille.
Il giudice Simone Spina lo ha condannato a 8 mesi di reclusione, con sospensione condizionale della pena per cinque anni e obbligo di seguire un percorso di recupero per tre mesi. La sentenza è arrivata al termine di una giornata tesa, dopo oltre due ore di camera di consiglio. Alla lettura del verdetto, il ghanese ha dato in escandescenza ed ha iniziato a protestare contro il giudice e poi anche contro alcune forze dell’ordine presenti in aula. Ma andiamo per ordine.
Il caso si riferisce a episodi avvenuti tra ottobre 2023 e luglio 2024. Secondo la ricostruzione fornita dai querelanti nella precedente udienza, l’ex dipendente, dopo la fine del rapporto di lavoro, si era presentato in più occasioni al ristorante pretendendo la restituzione dei suoi effetti personali, rimasti nell’alloggio che aveva occupato per accordo privato durante il contratto. I titolari avevano raccontato in aula di aver subito gravi intimidazioni, tra cui l’accensione di un accendino minacciando di incendiare il locale, il brandire un bastone e una lastra di vetro, oltre a ripetuti tentativi di forzare l’ingresso riservato al personale. La titolare aveva dichiarato: “Sono stata costretta a cambiare le mie abitudini, avevo paura. Mia figlia ha smesso di andare a Siena nel tempo libero per timore di incontrare il nostro ex dipendente”.
Anche i carabinieri di Sovicille e Monticiano avevano confermato in aula almeno quattro interventi per allontanare l’uomo dal locale e ristabilire la calma. Il gestore dell’alloggio, inoltre, aveva ammesso di aver fatto cambiare la serratura, dopo che l’imputato aveva smesso di pagare l’affitto.
Nell’udienza odierna, l’imputato, assistito dall’avvocato Alessandro Alunni e da un interprete, ha risposto per oltre mezz’ora alle domande del pubblico ministero Alberto Brancalà e del proprio legale. L’uomo ha sostenuto di essersi trovato in una situazione di difficoltà dopo aver trovato la serratura cambiata: “Dopo aver notato il cambio della serratura, ho chiamato i carabinieri”. Ha spiegato di essersi recato al ristorante per protestare, convinto di aver “già pagato l’affitto e che il mese non era ancora scaduto”. Ha negato qualsiasi intenzione minacciosa: “Non ho minacciato nessuno e non mi sono presentato con atteggiamento intimidatorio”. Quanto alla lastra di vetro, ha affermato: “L’ho presa solo perché la ritenevo pericolosa, non per usarla come minaccia”.
L’imputato ha aggiunto di non aver recuperato i suoi effetti personali e di aver dormito “all’aperto, in un garage vicino alla vecchia abitazione” dopo essersi trovato senza casa. Ha inoltre spiegato di aver sporto denuncia contro i titolari del ristorante, convinto che fossero i veri proprietari dell’appartamento: “Versavo a loro il canone di affitto, ma non ho mai ricevuto una ricevuta”. Ha ribadito che “il mio unico intento era recuperare ciò che era mio, ma non mi è stato restituito nulla”.
Nella sua requisitoria, il pubblico ministero ha chiesto la condanna a due anni e un mese di reclusione, sottolineando la gravità delle condotte e l’impatto subito dai querelanti. Il difensore ha invece invocato il minimo della pena, il riconoscimento delle attenuanti generiche e la sospensione condizionale, sostenendo che l’imputato, pur risultando con una condanna a sei mesi con la condizionale per lesioni e resistenza a pubblico ufficiale, si era trovato in una situazione di confusione e disagio, senza piena consapevolezza dei rapporti giuridici e delle responsabilità.
Il legale dei ristoratori, avvocato Luca Bianchi, era presente in aula anche se la parte offesa non si è costituita parte civile.
Il giudice, riconoscendo le attenuanti generiche, ha dichiarato non procedibile il capo relativo agli atti persecutori nei confronti della moglie del ristoratore per difetto di querela. Per il resto, ha condannato l’imputato a otto mesi per atti persecutori e al pagamento delle spese processuali, disponendo la sospensione condizionale per cinque anni e l’obbligo di seguire un percorso di recupero per tre mesi.
La lettura della sentenza ha provocato momenti di forte tensione: l’imputato ha perso il controllo, ha reagito con rabbia e protestato a lungo, urlando e alzandosi con fare minaccioso anche nei confronti delle forze dell’ordine presenti. Più volte ha dichiarato di “non aver fatto niente” e di essere stato a sua volta vittima di un reato. Solo la presenza della Polizia Locale e delle forze dell’ordine, in tribunale per altro procedimento, ha permesso di ristabilire l’ordine.
Il giudice Spina ha spiegato con calma le motivazioni della sentenza, confermando che la posizione dell’imputato come persona offesa sarà oggetto di un autonomo procedimento.