Andrea Paolini, il cosiddetto “guru di Montepulciano”, è stato condannato a 9 anni di reclusione. Il Collegio del tribunale di Siena, presieduto dal dottor Fabio Frangini, ha riconosciuto la sua responsabilità per reati di violenza sessuale e maltrattamenti, in relazione alla gestione dell’associazione Nautilus Xenolid, ma non di esercizio abusivo della professione medica e psicoterapeutica, per il quale l’imputato è stato effettivamente assolto.
Le accuse, mosse da tredici parti offese, riguardavano presunti abusi psicologici ed economici ai danni di aderenti vulnerabili, indotti ad atti sessuali e versamenti di denaro e rapporti personali sotto la promessa di “guarigione”. Il verdetto è stato pronunciato alle 13 di oggi nella sala Bachelet, al terzo piano del Palazzo di Giustizia di Siena, al termine di una delle udienze più attese degli ultimi anni. Tra le vittime riconosciute vi sono anche tre uomini, tutti aderenti all’associazione diretta da Paolini. La sentenza chiude, almeno in primo grado, una pagina giudiziaria che ha richiamato attenzione anche per la natura particolarmente riservata del dibattimento, svoltosi solo a porte chiuse.
Il processo e le accuse
La sentenza è arrivata dopo un’ora e mezzo di camera di consiglio seguita a tre anni di dibattimento. Poco dopo le 11.30, il collegio giudicante presieduto dal dottor Fabio Frangini (a latere i giudici Alessandro Maria Solivetti Flacchi e Andrea Grandinetti) si è ritirato dopo una serie di passaggi procedurali e senza repliche delle parti alle argomentazioni, molto articolate, della difesa: ben oltre dieci ore di arringhe protrattesi nelle ultime udienze, senza che la stessa pubblica accusa sia intervenuta con ulteriori osservazioni. Paolini, assente in aula perché attualmente negli Stati Uniti per lavoro, era rappresentato dai suoi legali Luigi Paganelli e Michele Vaira, che hanno già annunciato ricorso in appello. Presenti pure i difensori delle parti civili Mauro Cesaroni, Giacomo Gonzi ed Eleonora Meioli.
Secondo la ricostruzione della Procura, affidata al sostituto procuratore Silvia Benetti, Paolini avrebbe approfittato della vulnerabilità psicologica di alcuni membri dell’associazione promettendo “guarigione” e “energia positiva”, inducendoli a versamenti di denaro e a rapporti personali, anche di natura sessuale. Le indagini, avviate nel 2020 dopo la denuncia di una madre insospettita dai cambiamenti del figlio e da spese associative elevate, hanno portato a ricostruire anni di attività, con testimonianze di persone coinvolte in un sistema di soggezione psicologica e materiale.
Il percorso processuale e la sentenza
Il procedimento si è svolto quasi interamente a porte chiuse, a garanzia della riservatezza delle vittime. In aula, la difesa ha puntato sulle incongruenze delle testimonianze, su intercettazioni e video depositati agli atti, sostenendo che la realtà dei fatti sarebbe diversa rispetto a quanto ricostruito dalla Procura. Gli avvocati Paganelli e Vaira hanno richiesto una valutazione approfondita di tutti gli elementi, ribadendo la posizione di innocenza dell’imputato e la natura lecita delle attività svolte all’interno dell’associazione. Il pubblico ministero aveva sollecitato una condanna a sei anni e dieci mesi.
Il Collegio ha ritenuto provata la responsabilità di Andrea Paolini per undici episodi di violenza sessuale e maltrattamenti, riconoscendo le sopraffazioni per tutte le parti offese. Due episodi sono stati accorpati, come richiesto dal pubblico ministero. Paolini è stato inoltre condannato al risarcimento dei danni per le sei parti civili costituite, con provvisionali inferiori ai diecimila euro per ciascuna. Il giudizio della Corte ha seguito integralmente l’impianto accusatorio, ha sposato in pieno la tesi d’incriminazione pur sottolineando – secondo quanto emerso in discussione – la complessità delle situazioni umane coinvolte, in cui vittime e carnefici si trovano, talvolta, in posizioni sovrapposte, sotto un’influenza psicologica determinante.
Un processo che ha segnato tutti
Il processo, iniziato nel 2020, ha lasciato una traccia profonda su tutti i protagonisti: i testimoni che hanno raccontato esperienze dolorose, le parti civili, gli avvocati, lo stesso collegio giudicante. Al termine della lettura del dispositivo, il presidente Frangini si è intrattenuto qualche minuto con i legali di Paolini, discutendo e riflettendo, in un confronto che nella conversazione è stato ritenuto di crescita e vera ricerca. Un dialogo franco, segno della complessità e del rispetto reciproco maturati in questi anni di udienze, e della consapevolezza dell’importanza di un simile procedimento.
Riflessioni su una sentenza complessa
La sentenza di oggi chiude una prima fase giudiziaria, ma non la vicenda processuale, destinata a proseguire in appello. Entro 90 giorni saranno depositate le motivazioni. Si tratta di una decisione che, in oltre tre anni di attività istruttoria e dibattimentale, ha portato tutti – giudici e avvocati – a interrogarsi su confini giuridici, umani e culturali. Il collegio della Corte d’Assise ha lavorato in modo unitario, senza frammentare la riflessione, cercando di restituire una lettura equilibrata di rapporti interpersonali complessi, dove la differenza tra vittima e carnefice si è rivelata meno netta rispetto a quanto ricostruito in fase d’indagine. Secondo il Collegio, in alcune situazioni non vi sarebbe un protagonista unico, ma una comune posizione di vulnerabilità e influenza psicologica. Il processo a Paolini si è distinto per la difficoltà tecnica e per la delicatezza delle materie trattate, imponendo tempi rapidi ma ponderati. La sentenza, giuridicamente solida secondo le prime valutazioni, sarà ora sottoposta all’esame dei gradi successivi di giudizio. Il lavoro svolto dal tribunale di Siena ha risposto all’esigenza di garantire una decisione equa in una materia tanto delicata: solo il percorso completo della giustizia potrà fornire la necessaria certezza e consapevolezza rispetto a un fatto che ha profondamente segnato la comunità e il sistema giudiziario locale.
Andrea Bianchi Sugarelli