Palio di Siena. Presentazione del Drappellone di agosto, il sindaco Fabio: "Maestoso e raffinato"

Di Redazione | 10 Agosto 2025 alle 19:48

Con estrema emozione, che raramente mostra, il sindaco di Siena Nicoletta Fabio ha presentato il Drappellone di Francesco De Grandi, svelato stasera con la tradizionale cerimonia nel Cortile del Podestà. Ecco il suo discorso

“E’ con immenso piacere che mi trovo qui, stasera, a celebrare questo momento e questo dipinto, regalato alla nostra Festa e alla nostra città da Francesco De Grandi. Un artista da me fortemente voluto e stimato, un giovane talento siciliano conosciuto in tutto il mondo. Un Drappellone maestoso e raffinato quello che ci mostra De Grandi. Al centro di tutto, la forza evocativa di due immagini che si incontrano e si completano. La figura della Madonna Assunta in cielo, iconica, sembra arrivare leggiadra e solenne ad un appuntamento importante, che sapeva di avere, e per il quale ha voluto indossare la sua veste più bella e preziosa: è il giorno dell’Assunzione. Una Vergine moderna, giovane e raffinata nei suoi abiti e nei suoi accessori. Una donna giovane che non vuole perdersi nemmeno un momento di ciò che l’aspetta. Una solennità moderna, raffigurata anche nei gioielli che indossa, come la preziosa collana con la croce che si trasforma in ancora, simbolo del Giubileo. Il manto della Madonna si apre su un cielo notturno, stellato. Le sfumature di un blu intenso si riversano in un’alba cittadina, con uno skyline di Siena dorata sullo sfondo. Dorata come i cavalieri che compongono la seconda parte del Drappellone in corsa sopra gli stemmi delle 10 Contrade. Cavalieri dorati, come lo sono le cuciture del cencio realizzate dalle nostre sarte e non dipinte, protagonisti di una corsa mitologica, pagana. Forte e potente il parallelismo creato da De Grandi tra la nostra corsa e il culto dionisiaco. L’esperienza religiosa del culto dionisiaco portava i fedeli a perdersi completamente per entrare in una dimensione che trascendeva la ragione. Un po’ come sono raffigurati questi cavalieri dorati, tra cielo e terra, che gareggiano a nerbo alzato verso la vittoria. Una dimensione che noi senesi conosciamo bene, che si manifesta durante la Carriera ma non solo, in maniera sfrenata, travolgente, a tratti anche folle. Pensando a quei momenti mi è tornata alla mente la descrizione fatta da Nietzsche proprio su Dioniso “Ma questa volta vengo come Dioniso il vittorioso che farà della Terra una giornata di festa”. Una festa che dunque ci fa perdere e ritrovare in noi stessi, che ci travolge, ci trasforma e ci costringe ad una corsa sfrenata, senza tempo. Una forza sovrannaturale che entra nelle nostre vene e che ci esalta, ci inebria. Questo racconta per me il cencio di Francesco De Grandi. Una follia consapevole che spero ci guidi sempre nel vivo delle nostre tradizioni”.

La Presentazione della critica d’arte, editorialista culturale e curatrice Helga Marsala

“Tra i pittori italiani contemporanei più intensi e colti, Francesco De Grandi è un artista capace di fondere, alla sua maniera, tradizione e attualità della grande pittura figurativa europea d’ambito mediterraneo, ma anche nordico: una pittura, la sua, nata e coltivata in Sicilia, non a caso. Negli anni De Grandi ha attraversato e sviscerato prevalentemente i temi del sacro e della natura, facendone occasione di riflessione teorica, di indagine estetica, di meditazione. Una “forma di preghiera”, in senso laico ma anche spirituale, ovvero un lento strumento di conoscenza e di compenetrazione nelle cose. L’eco di epoche lontane e il tratto assimilato dei grandi maestri del passato tornano di continuo: tra paesaggi sontuosi e luoghi senza tempo, le sue tele negli anni hanno messo in scena uno stuolo di Santi, Cristi, martiri, eremiti, figure tragiche ed epiche, naufraghi, peccatori, creature precipitate nell’inferno dei margini e della sofferenza o nella luce di un Eden immaginario. Donne e uomini toccati dalla grazia, oppure smarriti nel cuore della notte. Il sentimento dell’antico, però, lontano da stucchevoli ricalchi, nel suo immaginario si declina e si ancora al presente, tanto da consentirci di percepire come prossimi personaggi e scene dal sapore visionario, letterario. È l’attitudine pittorica a restare contemporanea: il segno, la pennellata, l’intenzione, le logiche della rappresentazione. E non perché i riferimenti biblici, mitologici o storici vengano stravolti. Anzi. Lo slittamento è sottile, provocato da minime alterazioni, tali da non disinnescare il cortocircuito, la leggera ambiguità: c’è sempre qualcosa che non quadra, che non torna, un oggetto, un dettaglio, un volto che arrivano da un tempo presente e concreto, disallineato. Lo stesso meccanismo De Grandi lo applica al suo Drappellone, il più possibile conforme a un Cencio d’ispirazione medievale o rinascimentale. La composizione è organizzata in modo regolare, secondo una scansione per finestre, rinunciando all’unità narrativa ed evocando i polittici costruiti per pannelli, le predelle delle pale d’altare, i dittici e i trittici su tavola. La scelta di raccordare le varie parti con una preziosa passamaneria dorata, e poi di chiudere l’estremità inferiore con un tessuto damascato, anch’esso color oro, è ancora una volta una dichiarazione di aderenza alla tradizione, pensando all’antica arte tessile e alla sua straordinaria applicazione in ambito civile e religioso. Allo stesso modo simboli e animali che identificano le Contrade sono riproposti fedelmente all’interno degli stemmi, perfettamente riprodotti: l’artista ha giusto aggiunto i nomi, scritti di suo pugno. In alto domina la scena la figura di Maria, la cui resa realistica chiama in causa l’iconografia sacra e la figurazione classica, al contempo modificandola, proiettandola altrove, in un processo raffinato di attualizzazione e insieme di proiezione onirica. È una creatura contemporanea, questa sua Maria. Un volto mediterraneo, stagliato contro un cielo nerissimo, abissale; una fanciulla di oggi vestita a festa: l’abito di velluto borgogna, le chiome brune sciolte e un po’ in disordine, un paio di orecchini dorati, un filo di trucco, al collo un ciondolo a forma di ancora, che è uno dei simboli di questo Giubileo. Se non fosse per quell’aureola a raggiera, abbagliante, sarebbe impossibile intuirne l’identità. Chiude gli occhi, Maria, e si gusta la promessa dell’evento felice a cui si accinge a partecipare: è arrivato il giorno dell’Assunzione e manca un ultimo tratto in direzione del Padre. A osservarne bene l’espressione, i modi, la postura, l’equilibrio perfetto tra piacere e consapevolezza, è chiaro come non si trovi qui a subire il proprio destino, in preda a quell’estasi passiva che ha spesso caratterizzato l’iconografia tradizionale. La letizia e la serena determinazione del suo volto raccontano molto. E ne fanno davvero una donna del presente. Maria sceglie di andare. Così come ha scelto di essere quella che è stata fin qui: diversa da tutte, con la sua storia sorprendente e il suo ultimo dolore; eppure uguale a tutte – una fanciulla del popolo, una sposa, una madre, una persona semplice. Convinta e felice di arrivare, finalmente, all’abbraccio con Dio. Se la parte superiore dell’immagine corrisponde alla vocazione religiosa del Palio e alle sue radici cristiane, in quella sottostante l’elemento sacro si apre a una dimensione arcaica, magica, persino pagana. E la scena suggerisce un altro slittamento. La stola con cui Maria si copre, preparandosi all’ascesa, forse non viene chiusa sulle spalle, bensì aperta… I due quadri distinti a questo punto entrano in relazione, scivolando l’uno nell’altro attraverso il nero della notte che sfuma verso un azzurro metafisico, schiarito. Lo scialle di Maria diventa un lembo di cielo ricamato di stelle, che lei dischiude appena, generando una pioggia siderale. Così piovono sulla terra piccole scintille d’oro, schegge di luce che affiorano all’ora del tramonto. Ed è proprio da quel manto che sembra provenire lo sciame volante di cavalli e cavalieri, in picchiata verso il suolo di Siena. Forse sbocciati da un grappolo di stelle, sono fatti della stessa materia dorata, della stessa luce: nel momento in cui Maria inaugura la sua ascensione, la folle banda giunge dall’alto a inaugurare la festa, agli albori di una tradizione che non avrebbe avuto fine. È l’immagine di una corsa dionisiaca, di una giostra febbrile: un corteo mitico di fantini sui loro barberi impetuosi, officianti di un rituale terreno, di cui scopriamo l’origine celeste. Siena appare sullo sfondo, a sinistra, un miraggio dorato in lontananza. Quasi un riflesso, un’idea. Pura luce che sfugge al dettaglio narrativo e che funziona come epifania luminosa. Una città invisibile, un regno incantato, un luogo concreto ma che in questa sinfonia di simboli, di sortilegi, di corse selvatiche e di visioni spirituali, si trasforma in un concetto universale: la città dei miracoli, dei desideri, della passione e della devozione”.

Helga Marsala


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