“Teorie queer e traduzione”, Grassini attacca Montanari citando Andreotti: "Il potere logora chi non ce l'ha"

"Nessun atto coraggioso, ma allineamento alle università occidentali", questa la risposta dell'esponente di Forza Italia Grassini all'intervento del Rettore della Stranieri

Di Simona Sassetti | 11 Marzo 2025 alle 9:49

“Teorie queer e traduzione”, Grassini attacca Montanari citando Andreotti: "Il potere logora chi non ce l'ha"

L’esponente senese di Forza Italia Lorenzo Grassini interviene dopo le parole del rettore dell’Università per Stranieri di Siena Tomaso Montanari che, presentando il nuovo corso “Teorie queer e traduzione”, ha detto: “L’università non è come certi partiti padronali”. 

Qui di seguito l’intervento di Grassini:  “Nel contemplare la recente esternazione del Magnifico Rettore Tomaso Montanari riguardo il suo corso “Queer e Traduzioni” presso l’Università per Stranieri di Siena, non posso fare a meno di riflettere su quanto la dialettica, quella vera di cui parlava Schopenhauer, sia divenuta un’arte in via d’estinzione nelle nostre università. Come scriveva il filosofo tedesco nel suo brillante trattato “L’arte di ottenere ragione”, la dialettica autentica non è una mera imposizione della propria tesi, ma un confronto intellettuale che richiede rigore e onestà. Purtroppo, ciò che vedo oggi nelle aule dell’Unistrasi, somiglia più a quella che Schopenhauer definiva “eristica” – l’arte di disputare per imporre la propria visione con mezzi leciti e illeciti, incurante del valore di verità del linguaggio.
Il Rettore Montanari, con gesto che definisce “coraggioso”, ha istituito un corso di cultura queer, vantandosi di aver creato un atto di “disobbedienza civile” e “insubordinazione”.

Magnifico Rettore, mi permetta di ricordarle che la vera disobbedienza civile richiede il coraggio di opporsi al potere dominante, non di allinearsi perfettamente all’ortodossia culturale oggi imperante nelle università occidentali. L’articolo 33 della Costituzione che Lei cita garantisce che “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”, ma questa libertà dovrebbe estendersi a tutte le prospettive intellettuali, non solo a quelle ideologicamente gradite. La presidente di Arcigay La ringrazia per aver fatto “una scelta coraggiosa e necessaria” – mi domando quale coraggio sia necessario per seguire esattamente il percorso tracciato dall’accademia contemporanea. Come diceva Andreotti, figura che oggi viene spesso fraintesa, “il potere logora chi non ce l’ha”. E oggi, caro Rettore, il potere culturale nelle università è saldamente nelle mani di chi propone visioni come la Sua. Parlando di coraggio intellettuale, mi permetta di spostare la discussione su un terreno che conosco intimamente: l’arte di Michelangelo Merisi da Caravaggio. Ho avuto l’incomparabile privilegio di acquisire il “Ragazzo con caraffa di rose”, opera che racchiude l’essenza del genio caravaggesco. In quest’opera, come nel “Fanciullo morso da un ramarro”, Caravaggio non cerca di imporre una visione ideologica, ma piuttosto di esplorare la complessità della natura umana attraverso la verità della luce e dell’ombra.

Nel “Ragazzo con caraffa di rose”, che conosco “intimamente”, Caravaggio mostra la sua maestria nel rappresentare i riflessi, le ombre e le rifrazioni nella caraffa, creando un’opera che trascende qualsiasi lettura semplicistica o ideologica come quella che, nel tentativo pietoso di ridicolizzarmi, Lei mi chiede. Quella stessa caraffa, con le sue gocce appena visibili tra i riflessi, racchiude significati plurimi che studiosi come Maurizio Marini e Mina Gregori hanno analizzato per decenni, rivelando la profondità intellettuale dell’artista. La seconda versione della “Giuditta che taglia la testa a Oloferne”, così diversa dalla prima per scelte iconografiche e soluzioni compositive, testimonia come Caravaggio avesse acquisito una “nuova coscienza” della condizione umana. Questa evoluzione non derivava da imposizioni ideologiche, ma da esperienze di vita che culminarono nella tragica fuga da Roma nel 1606. Caravaggio non cercava l’approvazione dell’establishment, ma la verità della rappresentazione umana in tutte le sue contraddizioni.

Il berlusconismo, tanto criticato in ambienti accademici come il Suo, ha perso centralità politica negli ultimi anni, come giustamente riportano i dati elettorali sta riprendendo forza e vigore dimostrando un “pensiero” sempre attuale e legato alla realtà. Ma ciò che rimane viva è l’intuizione fondamentale di Berlusconi: l’importanza della libertà di pensiero contro ogni conformismo, incluso quello accademico. Questo è il vero liberalismo che dovrebbe informare l’università italiana, non l’adesione acritica a paradigmi culturali importati e imposti come dogmi. La vera “comunità educante” di cui Lei parla non dovrebbe avere come obiettivo la creazione di un pensiero uniforme, ma la formazione di menti critiche capaci di interrogare ogni ortodossia. Come la luce di Caravaggio, che non nasconde le ombre ma le valorizza per creare profondità, così l’università dovrebbe accogliere la complessità del dibattito intellettuale senza schierarsi ideologicamente. Mi dichiaro “non previsto” anch’io, Magnifico Rettore, ma in un senso diverso da quello che Lei intende. Non previsto perché non mi allineo al conformismo culturale che oggi domina troppi atenei italiani, non previsto perché credo che la funzione dell’intellettuale e del collezionista d’arte sia quella di preservare e trasmettere la complessità della cultura, non di ridurla a manifesto politico.

Guardo il mio Caravaggio, il “Ragazzo con caraffa di rose”, e vi trovo una lezione che l’università contemporanea sembra aver dimenticato: la verità non è mai semplice, mai unilaterale, mai riducibile a slogan. Come le gocce che si intravedono tra i riflessi della caraffa, la verità richiede pazienza, studio approfondito e rispetto per la complessità. Questi sono i valori che dovrebbero guidare un’università degna di questo nome, non l’entusiasmo per teorie alla moda che domani saranno già superate. La dialettica autentica, come insegnava Schopenhauer, non mira alla vittoria ma alla verità. È questo che dovremmo insegnare ai nostri studenti, non l’arte di conformarsi al pensiero dominante. Solo così l’università italiana potrà tornare a essere un faro di cultura autentica e non un semplice megafono di mode intellettuali passeggere.
Così, caro Magnifico Rettore Montanari, la invito a elevare il dibattito oltre le mere apparenze ed a riconoscere che, in fondo, l’arte e la politica richiedono un impegno onesto, una passione sincera, e soprattutto il rispetto per la verità, che Lei, nel Suo affrettato deridere, ha purtroppo mancato di colpire. In definitiva, la mia replica è un inno alla cultura autentica, una sfida elegante contro chi si perde in retoriche vuote, ed un omaggio alla grandezza di un Caravaggio che, come un faro, continua a illuminare il cammino di chi sa veramente guardare”.

Simona Sassetti

Nasce a Siena nel 1991, lavora a Siena Tv dal 2016. Ha scritto prima sul Corriere di Siena, poi su La Nazione. Va pazza per i cantanti indie, gli Alt-J, poi Guccini, Battiato, gli hamburger vegani, le verdure in pinzimonio. È allergica ai maschilismi casuali. Le diverte la politica e parlarne. Ama il volley. Nel 2004 ha vinto uno di quei premi giornalistici sezione giovani e nel 2011 ha deciso di diventarlo



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