La Val d’Orcia da sogno a volte si trasforma in un incubo. Quella che un tempo era una meta per pochi viaggiatori innamorati dei paesaggi toscani, oggi è diventata una gigantesca cartolina vivente, invasa ogni giorno da frotte di turisti a caccia dello scatto perfetto. C’è chi la chiama “promozione del territorio”, ma per chi in Val d’Orcia ci vive e ci lavora, il termine più appropriato è un altro: overtourism.
Le immagini da cartolina (la Cappella della Madonna di Vitaleta, i Cipressini di San Quirico, il viale che conduce al Podere Poggio Covili) sono ormai divenute veri e propri punti di assalto. Auto, moto e addirittura pullman turistici si fermano ovunque, spesso in mezzo alla carreggiata, per immortalare il tramonto o un filare di cipressi. Il risultato è un pericolo costante per chi percorre quelle stesse strade, siano pendolari, lavoratori o semplici residenti.

Una delle situazioni più drammatiche si registra lungo la Statale Cassia, al km 177 nel Comune di Castiglione d’Orcia, proprio di fronte a Poggio Covili. Qui, nei weekend, il caos diventa ingestibile: mezzi turistici parcheggiati senza alcun rispetto delle regole del codice stradale, autobus che si fermano in curva, turisti che camminano sulla carreggiata per cercare “l’angolazione perfetta”. Un inferno d’asfalto e selfie che mette a rischio la sicurezza di tutti. A inondare letteralmente quel viale di cipressi, difronte all’agriturismo, sono in modo particolare turisti asiatici che, regolarmente accompagnati da NCC o autobus, fanno tappa e tappo in quel tratto così suggestivo, ma anche strategico per chi vuole andare dal nord al sud della provincia o viceversa.

A segnalare il problema non sono solo gli automobilisti costretti a improvvisi slalom o brusche frenate, ma anche gli agricoltori della zona, stanchi di vedere visitatori entrare nei campi coltivati, tra filari di grano o erba medica, calpestando i raccolti e rovinando il lavoro di mesi. Turisti incivili e deconcentrati (per usare un eufemismo) che non si rendono minimamente conto che questi campi non sono scenografie, ma il “pane quotidiano” di qualcuno.

L’Unesco, che nel 2004 inserì la Val d’Orcia nella lista del Patrimonio Mondiale per “l’eccezionale bellezza del suo paesaggio culturale”, oggi forse non riconoscerebbe più la stessa armonia. E allora la domanda sorge spontanea: se non vogliamo chiamarlo overtourism, come dobbiamo chiamarlo?
Perché di fronte a un territorio letteralmente invaso, dove la bellezza rischia di essere soffocata dall’inciviltà e dalla disattenzione, non bastano più slogan o campagne promozionali. Serve una riflessione seria (e forse urgente) su come restituire alla Val d’Orcia la sua vera essenza: quella di un paesaggio da vivere con rispetto, non da consumare con un click o un selfie.