Mps, il tentativo per salvarsi non è riuscito: arriva lo Stato

Di Redazione | 22 Dicembre 2016 alle 14:32

Mps, il tentativo per salvarsi non è riuscito: arriva lo Stato

Mps, il salvataggio sarà affidato allo Stato

Dalla direzione stanno partendo telefonate alle filiali: ormai per Mps l’unica possibilità è l’intervento dello Stato e si attende la conclusione del consiglio dei ministri di questa sera per conoscere i particolari.

L’aumento di capitale, l’ultimo di una lunga serie e previsto per 5 miliardi, non è andato a buon fine. Eppure il cda ci ha provato in ogni modo: chiedendo una proroga di venti giorni che la Bce non ha accettato, cercando investitori di peso, che si sono defilati uno dopo l’altro, ultimo il fondo del Qatar, invitando i clienti alla conversione delle obbligazioni e qui i previsti 2miliardi sono stati quasi raggiunti.

Per il Monte dei Paschi di Siena sono le ultime ore prima di prendere coscienza del proprio destino.

Repubblica.it tratteggia molto bene in sette punti tutto quello che c’è da sapere sul salvataggio della banca, ed anche che cosa significherà per la città.

Già il titolo fa capire che ormai il Monte dei Paschi di Siena al quale eravamo abituati fa parte del passato:

Mps, e ora? Sette cose da sapere sul salvataggio della banca

Oggi, con ogni probabilità, il consiglio di amministrazione del Monte dei Paschi di Siena sancirà il fallimento del tentativo di realizzare un aumento di capitale da 5 miliardi contando esclusivamente sulle forze del mercato. La prima gamba dell’operazione, la conversione dei bond subordinati in azioni, è stata tuttavia un successo: oltre 2 miliardi di adesioni tra investitori istituzionali e “piccoli”. Ma quel che manca per completare il rafforzamento patrimoniale è l’anchor investor, l’investitore di peso capace di mettere molti denari sul tavolo: il fondo sovrano del Qatar, accreditato inizialmente della disponibilità a investire 1 miliardo nella banca più antica del mondo, si sarebbe ormai sfilato.
Ecco allora che diventa inevitabile il soccorso dello Stato.

  • Che cosa vuol dire che lo Stato “entra” nel Monte dei Paschi?

A dire il vero, il Tesoro è già azionista di Mps con una quota intorno al 4%, eredità di Tremonti (e poi Monti) bond sottoscritti per supportare una prima crisi della banca senese e poi convertiti in azioni. La direttiva europea Brrd – che disciplina le risoluzioni delle banche in crisi – prevede che in caso di difficoltà sia la stessa istituzione finanziaria a chiedere il supporto pubblico, concesso in quanto è una banca di rilevanza sistemica (la terza in Italia, un suo fallimento sarebbe disastroso a catena sulle altre). A quel punto, lo Stato organizza un “ricapitalizzazione precauzionale”, mantenendo formalmente la banca solvente ma dando vita al cosiddetto “burden sharing”. Quest’ultimo prevede sempre che le perdite siano condivise, ma in maniera più leggera rispetto al “bail-in”, nel quale la banca viene messa in risoluzione e le perdite vengono attutite nell’ordine dall’azzeramento degli investimenti di azionisti, obbligazionisti junior e senior, e dei depositi sopra 100mila euro.

  • Che quota avrà lo Stato?

Al momento non è possibile dire quale saranno i numeri precisi dell’intervento pubblico, dai quali dipenderà la partecipazione futura. Probabilmente la quota di capitale in mano pubblica porterà il Tesoro alla maggioranza assoluta dell’istituto. Quel che è certo è che il governo ha ottenuto dal Parlamento il via libera a interventi fino a 20 miliardi, che sono però spalmati su tutto il sistema bancario.

  • Chi mette i soldi?

L’intervento pubblico viene finanziato attraverso l’emissione di nuovo debito. Il governo ha ottenuto da Camera e Senato il via libera a lanciare sul mercato 20 miliardi di titoli in più, correggendo così i conti pubblici e il fabbisogno, per interventi “a tutela del risparmio”. Due gli obiettivi: garantire liquidità alle banche ed entrare direttamente nel loro capitale (il caso del Monte è – per ora – il secondo). In pratica, il salvataggio ricadrà su tutti i contribuenti. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha spiegato che dal punto di vista contabile riguarderà il bilancio del 2017 e che non sarà conteggiato ai fini del piano di rientro. Bruxelles guarda infatti con attenzione alla (mancata) discesa del nostro debito pubblico e nelle prossime settimane pubblicherà un report ad hoc. Nei prossimi Documenti di economia e finanza bisognerà prender atto delle variazioni ai saldi pubblici e di come tenere a bada la mole di debito complessivo.

  • Cosa succede agli attuali azionisti?

Con il burden sharing, a differenza del più drastico bail-in, gli attuali azionisti potrebbero essere formalmente salvati. Ma rischia di trattarsi di un passaggio soltanto di facciata. Nelle condizioni di mercato dell’aumento, con una forchetta di prezzo compresa tra 1 e 24,9 euro, la diluizione dei vecchi azionisti andava dall’87 per cento (in caso di prezzo massimo) al 99,42 per cento (in caso di prezzo minimo). Sul mercato, era dato per scontato che l’aumento sarebbe avvenuto dalle parti del valore minimo della forchetta. Con la ricapitalizzazione precauzionale dello Stato, è probabile dunque che gli azionisti arrivino di fatto a vedersi quasi azzerare la quota detenuta nella banca.

  • Cosa succede agli obbligazionisti?

Con il burden sharing e l’intervento dello Stato, azionisti e obbligazionisti senior potrebbero evitare il coinvolgimento e il relativo azzeramento dei titoli. I sottoscrittori di bond subordinati che hanno aderito alla proposta di scambio in azioni Mps (ne sono arrivati per 2,4 miliardi di euro) vedranno invece tornare i titoli portati in adesione nel loro portafoglio. L’offerta di scambio era infatti vincolata al buon esito dell’operazione di mercato, al momento da escludersi.
Per gli obbligazionisti junior le strade sono sostanzialmente due. Lo Stato potrebbe riacquistare i loro titoli, a un prezzo da individuare (nell’ambito dell’offerta di mercato il prezzo di riacquisto era tra l’85 e il 100% del valore nominale). Oppure potrebbe procedere con la conversione forzosa in azioni, con un taglio al loro valore nominale da definire. In questo secondo caso, lo scoglio sociale e politico è rappresentato dai piccoli risparmiatori (il cosiddetto “retail”), che hanno sottoscritto quei titoli magari senza conoscerne a fondo i meccanismi. Si parla di 40mila persone con 2 miliardi di euro in ballo. Per costoro si potrebbe prevedere un meccanismo di rimborso in linea con quello (farraginoso) delle quattro banche salvate a fine 2015: forfettario attraverso il Fondo interbancario di tutela dei depositi, oppure attraverso un arbitrato. In questo caso, sarebbe necessario dimostrare che sono stati venduti loro titoli in maniera opaca. Altra strada per il rimborso: far sottoscrivere loro le azioni del Monte e garantire una integrazione qualora la futura quotazione dei titoli azionari non fosse sufficiente da permettere loro di re-integrare il patrimonio.

  • Qual è il ruolo di Atlante?

Il fondo Atlante, gestito dalla sgr Quaestio, doveva intervenire nella cessione di un maxi-pacchetto di sofferenze di Mps (da oltre 27 miliardi) e nella sua successiva cartolarizzazione: una complessa operazione finanziaria per portare i crediti scaduti in pancia alla banca fuori dal suo bilancio, affidandoli ad operatori specializzati. Una pulizia dei conti voluta dalla Bce insieme all’aumento di capitale. Atlante, che è già intervenuto negli aumenti di capitale delle banche venete e dovrà a breve versare un altro miliardo per la loro sopravvivenza, ha dato la disponibilità a fare il suo ruolo in questa vicenda anche in caso di intervento pubblico.

  • Cosa succederà alle altre banche?

La situazione di Mps era ormai da tempo additata da stampa finanziaria anglosassone e grandi fondi come quella del “malato” del sistema bancario italiano. Secondo molti, una gestione ordinata del suo salvataggio potrebbe rappresentare un punto di svolta per tutto il sistema. Che ha chiaramente altre falle da tappare, anche se di dimensioni ed eco internazionale minore. Veneto Banca e Pop Vicenza, ad esempio, sono reduci da aumenti di capitale e cambi ai vertici, ma il fondo Atlante (diventato ormai socio maggioritario) si appresta a versare un altro miliardo di risorse per la loro operatività. Il tema delle sofferenze da smaltire accomuna molti istituti e un mercato vero e proprio dei crediti inesigibili – nonostante gli interventi del governo in tal senso – ancora fatica a crearsi. Restano poi i nodi delle Popolari da sciogliere, con la loro riforma appesa ai giudizi della Consulta e due casi (Sondrio e Bari) di trasformazione in Spa congelata. Alle porte c’è il maxi-aumento di capitale di Unicredit, da 13 miliardi, che richiederà sforzi ingenti al mercato. E le quattro banche salvate a fine 2015, capitanate da Banca Etruria, aspettano ancora un compratore. Fallire il salvataggio del Monte sarebbe devastante per il sistema intero, farlo con precisione potrebbe dare un segnale che l’Italia sa governare le sue banche e le sue crisi.



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