Aya, la sua storia a Siena da Gramellini su La7

Dalla fuga da Gaza all’intervista di Giovanna Botteri in Piazza del Campo, il racconto della ricercatrice di Unistrasi tra dolore, nostalgia e speranza

Di Redazione | 12 Ottobre 2025 alle 11:00

Aya, la sua storia a Siena da Gramellini su La7

Aya Ashour è arrivata a Siena da Gaza portando con sé solo una valigia e il desiderio di un dottorato. Fino a qualche mese fa, Piazza del Campo era solo una foto sullo schermo del suo computer, un’immagine sgranata che sapeva di promessa. Oggi, mentre cammina sulle lastre di quella stessa piazza, i pensieri tornano ogni giorno alla famiglia rimasta in Palestina e alle cicatrici della guerra.

Tutto questo – la memoria, il desiderio di normalità, una nostalgia che non si lascia tradurre – è emerso con forza dalla sua voce ieri sera (11 ottobre 2025), nell’esclusiva e coinvolgente intervista di Giovanna Botteri per “In altre parole”, la trasmissione condotta da Massimo Gramellini su La7. Il suo racconto prende forma al Camarlengo, storico bar sotto Palazzo Berlinghieri. Qui, tra i tavolini all’ombra della Torre del Mangia, la giovane studentessa si apre, circondata dalla sua nuova quotidianità. Il caso vuole che anche il proprietario, Hasib Awad, sia palestinese, a Siena ormai dal 1978: un dettaglio che, in una mattina italiana, unisce due storie lontane ma sorprendentemente vicine. Nelle parole di Aya non c’è enfasi, solo una narrazione paziente, segnata dalla gioia di poter vivere la sua nuova città e dal dolore per i sogni rimasti sotto le macerie di Gaza: “Nel 2022, tra ottobre e novembre, ho iniziato a fare domanda per una borsa di studio all’Università per stranieri di Siena. La prima immagine che ho visto è stata proprio questa piazza”.

Tre mesi prima della guerra, si era laureata in diritto internazionale, una materia che avrebbe dovuto proteggerla e che invece le ha insegnato quanto sia fragile ogni garanzia quando la realtà ti crolla addosso: “A Gaza non c’è futuro, non ci sono scuole, ospedali, università. Vivere in una tenda è disumano, ti toglie ogni senso di dignità”. La ricercatrice di Unistrasi è la prima di otto fratelli. Oggi porta con sé una foto di quando aveva due anni, prima che la guerra trasformasse il parco giochi in un campo profughi. “Ricordo che desideravo solo gli abbracci della mia mamma e delle mie sorelle. Le guardavo in faccia, perché temevo che, se non avessi impresso bene i loro volti nella memoria, avrei potuto dimenticarli”.

La sua testimonianza ha fatto il giro del mondo: la Bbc ha raccolto il suo diario, la storia di chi cerca di restare umano anche mentre tutto si sgretola. A Siena, Aya sta lavorando a una tesi di dottorato sugli effetti della guerra sulle persone, in particolare sulle donne. La vita qui scorre diversa, tra libri, strade e palazzi mai visti prima e la fatica di adattarsi: “Il mio dottore mi ha detto che soffro di un disturbo da stress post-traumatico. Sto cercando di guarire dopo tutto quello che ho vissuto. Non riesco a dormire bene, mi addormento alle tre di notte e mi sveglio subito; quando riesco a dormire, faccio degli incubi”.

Aya si emoziona parlando del mare di Gaza, “l’unico posto che dà un senso di umanità”. Ogni telefonata con la famiglia è una prova: la conferma che sono vivi, il dolore di sapere che manca tutto. “A Gaza e in Palestina viviamo ogni istante come se fosse l’ultimo, è qualcosa a cui siamo abituati da tempo. Spero solo che la mia famiglia riesca a sopravvivere e che io possa riuscire a portare fuori da Gaza mia sorella Nur”.

Seduta al tavolino del bar Camarlengo, mentre la piazza si riempie di voci e passi, Aya racconta senza chiedere pietà. La sua è la cronaca di chi vuole ricostruire e continuare a testimoniare, con una forza silenziosa che attraversa il tempo e il dolore. In questa Siena che, con discrezione, ha saputo accoglierla, la sua voce ricorda che non basta salvarsi: serve anche qualcuno che ascolti.

Andrea Bianchi Sugarelli



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