Congestione sintomo di scompenso cardiaco, studio del dottor Palazzuoli delle Scotte su prestigiosa rivista scientifica

Il tema al centro di uno studio del dottor Palazzuoli pubblicato sull’European Heart Journal Cardio Imaging

Di Redazione | 22 Aprile 2024 alle 14:30

È del cardiologo senese Alberto Palazzuoli, responsabile UOSA Malattie Cardiovascolari dell’Azienda ospedaliero-universitaria Senese, lo studio pubblicato su “Eur Heart Journal Cardiovasc Imaging”, prestigiosa rivista scientifica stampata dal 1980 per conto della Società Europea di Cardiologia. Lo studio è dedicato a uno dei primi e più importanti sintomi dello scompenso cardiaco: la congestione.

Quest’ultima consiste nell’accumulo di liquidi e sodio nei tessuti, e può palesarsi sia a livello polmonare che a livello sistemico. È stato infatti dimostrato che circa il 30% dei pazienti affetti da questa patologa venga ospedalizzato entro un anno dalla prima diagnosi a causa di questa condizione. Molto spesso anche i pazienti ricoverati vengono dimessi con uno stato di congestione latente ancora non perfettamente risolta. Il dottor Palazzuoli, a capo del gruppo di studio sullo scompenso cardiaco della Società Italiana di Cardiologia, ha condotto la ricerca su un campione di circa 250 pazienti, di cui oltre il 70% reclutati all’Aou Senese.

“La valutazione clinica e laboratoristica è stata integrata dalla valutazione ecografica polmonare per quantificare lo stato di congestione su questo distretto – spiega il dottor Alberto Palazzuoli -. Il protocollo ha evidenziato come la valutazione effettuata mediante questa metodica, mostra che una rilevante percentuale dei pazienti ha una congestione polmonare residua alla dimissione. Questo studio dimostra per la prima volta che l’ecografia polmonare risulta fondamentale per effettuare una valutazione su diagnosi e severità dello scompenso cardiaco. Pertanto – prosegue Palazzuoli -, la monitorizzazione nel tempo attraverso questa metodica risulta utile per stabilire il profilo di rischio (alto o più basso) e quindi identificare i soggetti da trattare in modo intensivo in cui una terapia endovenosa più prolungata può comportare un beneficio sulla prognosi. Un’analisi combinata di criteri clinici laboratoristici e ultrasonografici – conclude il dottor Palazzuoli – effettuata all’ingresso e nel corso della degenza, è risultata pertanto la metodica più efficace nella valutazione del profilo di rischio nei pazienti affetti da scompenso cardiaco acuto”.



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