“Time Out”, il libro sull'ascesa e caduta della Mens Sana. Intervista a Flavio Tranquillo

Di Redazione | 19 Aprile 2019 alle 11:19

“Time Out”, il libro sull'ascesa e caduta della Mens Sana. Intervista a Flavio Tranquillo

Il giornalista e telecronista di Sky ripercorre la parabola biancoverde passata dalle magie del campo alle aule di tribunale: “Ho cercato di fare luce su una vicenda colpevolmente trascurata. Gli Scudetti? Quelle vittorie sono tutte tali”

E’ arrivato sugli scaffali delle librerie il nuovo libro di Flavio Tranquillo, “Time Out, ascesa e caduta della Mens Sana o dello sport professionistico in Italia”, in cui il giornalista e telecronista di Sky, voce storica del basket nazionale ed Nba e tra i massimi esperti e conoscitori della palla a spicchi, ripercorre la parabola della Montepaschi Siena, fallita nel 2014 e ancora al centro di un controverso caso giudiziario dopo essere stata la squadra dominatrice del movimento nazionale degli anni duemila, capace di vincere – al netto dei titoli revocati – 6 scudetti, 3 coppe Italia, 6 supercoppe italiane e una Coppa Saporta, annoverando anche 4 partecipazioni alle Final Four di Euroleague (è tutt’ora l’ultima squadra italiana ad esserci riuscita, nel 2011).

Tranquillo ha preso in mano questa storia, forse colpevolmente dimenticata e trascurata dai media, mettendo insieme dati, atti, parole dei protagonisti per fare chiarezza sui tanti aspetti ed episodi di un epopea presto passata dal campo e dalle magie di grandi campioni alle aule di tribunale, tra bilanci truccati e conti correnti nascosti. L’opera di Tranquillo è sicuramente molto attesa a Siena, dove la vicenda della Mens Sana Basket è a tutt’oggi un tasto molto dolente per i tifosi e gli appassionati di basket. Lo abbiamo intervistato in esclusiva per RadioSienaTV per presentarci il suo lavoro.

Come e quando nasce l’idea di scrivere questo libro?

“Nasce molto tempo fa, quando la vicenda giudiziaria sembrava potersi concludere con un patteggiamento (fine 2017-inizio 2018). Mi sembrava un atto dovuto ragionare su un evento così eclatante e di cui si è parlato troppo poco rispetto alla valenza paradigmatica che ritengo abbia. Ricostruendo quello che sono stato capace di ricostruire, spero di aver offerto un servizio a quelli che un’opinione vogliono farsela partendo dai fatti, e non dai riassunti, dalle semplificazioni o dalle opinioni”

E’ stato difficile addentrarti in una materia così spinosa, ancora al centro del dibattito in aula?

“Difficile e doloroso. Doloroso anche per la componente autocritica: faccio parte di quel “sistema mediatico” che ha ignorato segnali, semplificato situazioni e poi buttato tutto nel dimenticatoio. Non si può e non si deve, il nostro lavoro ci impone di fare delle scelte e di affrontare anche questioni complesse. Io ho provato a farlo con il massimo del rispetto e del rigore di cui sono capace”

Pensi che la vicenda di Siena sia stata presto trascurata dai media? E perchè secondo te?

“La risposta sintetica è “sì”, ma non sono un grande appassionato delle analisi sui media fatte da chi, come me, dei media è parte. Sarebbe facile, e superficiale, dire che è una vicenda scomoda. In realtà, è una vicenda che per i tempi giudiziari che ha avuto e per i meccanismi relativi alle ipotesi di reato ha una complessità elevata, e non tutti hanno tempo e voglia di misurarsi con questioni così complesse”

Cosa ha perso il basket italiano con la sparizione della Mens Sana dai grandi palcoscenici?

“Ha perso un’occasione, mentre le cose succedevano, di farsi le domande giuste. Che non dovevano, a mio modesto avviso, essere intese a mettere all’indice i cattivi (o, ancora meno, “il cattivo”), ma semplicemente a guardare documenti pubblici, per esempio i bilanci, e porsi domande che vanno molto al di là delle questioni di rilevanza penale. La mia convinzione, maturata nel corso di questo lunghissimo lavoro, è che l’uso di parole come stakeholder, sostenibilità, governance nel settore sportivo sia affetto da opacità e ipocrisie che non possono e non devono essere presunte, e che non riguardano tutti a prescindere, ma che non possono nemmeno essere sottovalutate. Che però si tratti di una questione da analizzare in profondità, doveva essere chiaro a tutti, in primis a me, molto prima e molto meglio. La miopia di chi, da dentro, antepone piccoli o grandi presunti vantaggi oggi a un sistema meritocratico domani sconfina nell’egoismo e produce omertà”

Al di là delle singole responsabilità, accertate o no, quanto c’è della devastante crisi di banca Mps nella fine del grande basket a Siena?

“Il mio giudizio è riassunto dalla frase simul stabunt simul cadent. Lo dico avendo proposto una lettura diacronica comparata delle due vicende, che mi pare avvalorare la plausibilità dell’ipotesi. Il punto è che, come in molte altre situazioni analoghe, si dipende da un soggetto che non ne fa una questione di conseguire ritorni, e quindi non investe in senso proprio. Al di là, appunto, delle responsabilità penali, questo è un business model insostenibile per definizione. E, aggiungo, spiegare tutto con la crisi del Monte significa non considerare la big picture e non capire che non aveva senso il prima, non tanto il dopo”

Fai un – giustissimo a mio avviso – parallelismo tra la caduta della Mens Sana e quella del basket professionistico italiano. Possiamo fissare il 2014 come terminus post quem?

“Certamente il fallimento di Msb è un momento importante, ma non c’è un punto di non ritorno identificabile. La caduta della Mens Sana illustra in maniera eclatante le conseguenze di un modo di (non) fare imprenditoria che non si limita, purtroppo, al basket o allo sport. Ogni volta che si ignorano le risultanze dei fatti (ancora una volta, non solo e non tanto quelle giudiziarie), lo sport professionistico scende un gradino verso il basso”

Da esperto addetto ai lavori che ha vissuto da vicino quegli anni, pensi che queste vicende extra campo abbiano condizionato i risultati sul parquet? E’ stato giusto togliere quegli scudetti?

“Il dibattito mi appassiona pochissimo. La questione è affrontata con dovizia di particolari nel libro ma solo dopo aver delineato quelle che sono invece, a mio avviso, le cose su cui soffermare l’attenzione. In estrema sintesi: per me il campo è sacro, il risultato è quello all’ultima sirena, salvo casi particolari. Detto questo, per come è articolato il sistema della giustizia sportiva, su cui sono fortemente critico, la conclusione dei procedimenti federali non poteva che essere quella che è stata. Per me però, ripeto, quelle vittorie sono tutte tali”

L’ultimo caso che ha scosso il basket nostrano è l’arresto del presidente di Trieste, Scavone, per presunta frode fiscale. Minucci, secondo te, è pecora nera o capro espiatorio di un sistema diffuso?

“Su questo terreno è facile scivolare. Voglio sperare che nessuno possa pensare che l’eventuale diffusione di un fenomeno illegale faccia affievolire il giudizio negativo nei confronti di quel fenomeno, sarebbe veramente tristissimo. Per ragioni di spazio, dal libro è rimasta fuori la citazione di un provvedimento del Gip sul caso del Foggia Calcio, in cui parlando di un commercialista si scrive che “si doleva delle contestazioni mossegli per la dazione: a suo dire, infatti, la diffusione sociale di tale fenomeno avrebbe dovuto far ritenere privo di disvalore il proprio comportamento”. Minucci non è pecora nera perché non lo è nessuno, perché si risponde nelle sedi opportune solo e soltanto di quello che è stato dimostrato fattualmente e logicamente e perché il rispetto è sempre dovuto a tutti. Non è nemmeno capro espiatorio, perché questa visione è troppo semplicistica e complottistica nell’accezione negativa di questo secondo aggettivo. Minucci è una persona che ha ammesso delle cose, è accusato di altre e ha lasciato un’impronta forte sul basket italiano. A me preme dare a tutti il massimo degli elementi fattuali possibili per inquadrarlo, non giudicarlo, storicamente. Il resto attiene alle convinzioni e alle sensibilità di ognuno. Partendo dai fatti però, non dalla fuffa”

Il 7 maggio il giudice dovrebbe decidere sul patteggiamento dell’ex gm mensanino. L’epilogo di questa inchiesta che giudizio storico lascia? Non c’è il rischio di una damnatio memoriae di un periodo comunque ricco di successi, in Italia e in Europa?

“Il giudice, lui sì, deve emettere un giudizio, che per il nulla che capisco potrebbe andare anche nel senso di non aderire all’istanza di patteggiamento presentata, sia per le motivazioni esposte dal Gup nel diniego (non estinzione del debito tributario) sia rispetto alla congruità della pena (che, se dovesse superare l’eccezione preliminare, immagino valuterà in maniera del tutto indipendente sulla scorta degli atti di indagine che ha acquisito). L’ho fatta lunga per far capire che si tratta di questioni tecniche e giuridiche, che per loro natura non condizionano, e nemmeno orientano, il giudizio storico. I fatti, nella loro sostanza, sono acclarati. La loro qualificazione giuridica, per quanto importantissima, non può aggiungere o togliere alcunchè al giudizio storico. Quello va costruito da ognuno di noi, informandosi. E sapendo che non c’è un modo per dividere i meriti di giocatori, allenatori e dirigenti dai sistemi di pagamento utilizzati. In quel giudizio storico confluiscono gli uni e gli altri, che piaccia o meno”

Siena è sull’orlo di un secondo fallimento. Sarà mai possibile rivederla ad alti livelli?

“Non credo si possa rispondere direttamente alla domanda, anche se ne capisco bene il senso dalla prospettiva di chi segue il basket a Siena. La domanda secondo me è: ci saranno, in futuro, le condizioni per fare pallacanestro professionistica sostenibile in Italia? Al momento non ci sono, e che le conseguenze abbiano colpito due volte in 5 anni Siena è un accidente della storia, nonché un monito fortissimo. Se qualcuno vorrà ascoltarlo, il basket tornerà a Siena, e altrove”

Nel presentare il libro dici che il lettore avrà voglia di tornare a parlare di basket e di dimenticare tutto il resto. Come può nascere questa speranza?

“La forza vitale del basket è enorme. Tale da aver resistito a tutto questo. Il Gioco è il più forte di tutti. Non bisogna dimenticare però, ma capire per migliorare”.

Claudio Coli



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