L’Unione sindacale di base dell’Azienda ospedaliera universitaria senese interviene sui disservizi che si registrano all’ospedale delle Scotte di Siena e su cui ci siamo soffermati in più riprese, marcando il lato “umano” del problema e sottolineando che “il malcontento del personale non dipende solo dalle carenze infrastrutturali“. Di seguito pubblichiamo la nota diffusa.
“Certo, è innegabile, le condizioni disastrose nelle quali versano gli impianti di condizionamento – evidenti i maggior rischi di proliferazione batterica e di peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie che potrebbero compromettere la salute dei pazienti e degli operatori – e le insufficienti soluzioni tampone quali l’utilizzo di ventilatori hanno il loro peso.
Come lo ha il generale e annoso malfunzionamento degli ascensori che non può essere derubricato a fantomatico atto vandalico, ma il malcontento e lo stress che serpeggiano fra il personale, ha motivazioni più profonde.
Infatti la realtà quotidiana con la quale si confrontano gli operatori, è fatta di logiche aziendalistiche che riducono il loro lavoro a numeri, tempi, efficienza, produttività. Sistemi di valutazione imposti dall’alto – più attenti a punire o premiare che a comprendere – che ignorano completamente il contesto personale e complesso in cui si svolge ogni giornata lavorativa.
Persino la relazione con il paziente viene quantificata, reclusa all’interno di un angusto e misero piano di lavoro che comprime a pochi minuti l’assitenza diretta per ciascun degente. Invece la comunicazione, il rapporto stretto con il paziente, il farsi carico della sua vulnerabilità e, se del caso, spiegare e rassicurare, è fondamentale tempo di cura, e nonmun lusso da tagliare e minimizzare. Ridurre il rapporto con il paziente a numeri e parametri è una distorsione inaccettabile del processo di cura e di assistenza ed è mortificante per gli operatori, siano essi Infermieri o Oss.
Operatori che si trovano impotenti di fronte ai tempi imposti per ogni prestazione da erogare e, grazie ai quali, non si contano più i pazienti che escono dalle finestre dei nostri reparti per poi, magari, rientrare pochi giorni dopo dalla porta del nostro Pronto Soccorso.
Infermieri, Oss e tecnici sanitari sono ridotti al ruolo di meri “tappabuchi” e sono costretti continuamente a saltare riposi oppure sono allettati a lavorare in regime di produttività aggiuntiva, per colmare la carenza di personale. La conciliazione dei tempi di vita e di lavoro è oramai una Chimera e si incrementa il pericolo di abbassare lo standard qualitativo dei servizi erogati per il poco riposo.
É evidente l’aumentare del rischio burnout, che si fa sempre più concreto e che, però, sembra essere sottovalutato dall’Azienda. Sottovalutazione e difficoltà di gestione, un mix che gli operatori toccano con mano quotidianamente come, per esempio, al PS. L’incapacità di trovare un letto in tempi rapidi – ricordiamo che attualmente ci sono circa 580 posti letto disponibili a fronte dei 1700 circa degli anni ‘90 – costringe a “soggiorni” anche di 3-4 giorni su una barella i pazienti in attesa di ricovero e spesso anche quelli in attesa di una dimissione. I lunghi tempi di attesa quindi, hanno portato alla decisione di somministrare i pasti in PS, e se dalla parte dei pazienti sembra cosa buona e giusta e un traguardo raggiunto, per l’Azienda è l’ennesima sconfitta e l’ammissione implicita di non essere in grado di dare risposte concrete, e soprattutto immediate, ai bisogni di cura e salute di ciascun cittadino. Inoltre in un contesto di tale portata gli operatori sono costretti a gestire aggressioni e dinamiche relazionali che ne intaccano fortemente la serenità e che aumentano l’incidenza dello stress lavoro correlato.
Ecco queste sono le concause dalle quali nasce il malcontento generale degli operatori e l’AOUS, anche in virtù della reputazione e della stima delle quali gode tuttora da parte della cittadinanza, si trova di fronte a un bivio e ha una grande responsabilità: continuare a far finta di niente e “mettere i vigilantes davanti agli ascensori” o ascoltare il malcontento dei propri dipendenti e valorizzarli, abbandonare la logica esclusiva dei numeri e mettere al centro la relazione, il tempo e la dignità della persona. Su questa seconda via USB sarà sempre disponibile al confronto e alla sintesi, ma in caso contrario continuerà nell’opera di informazione e denuncia intrapresa.
Gli Infermieri, gli Oss, il personale sanitario tutto, non sono numeri, ma persone, non sono oggetti da valutare, ma professionisti da rispettare, ed è solo con la partecipazione e il coinvolgimento di tutte e di tutti che possiamo costruire un sistema sanitario che rispetti chi cura e chi viene curato“.




