È una parola che torna continuamente nelle voci degli attori del Birraio di Preston, quasi fosse un richiamo, un respiro, una radice che attraversa tutto lo spettacolo in scena al Teatro dei Rinnovati di Siena. Sicilia come luogo reale e immaginario, come memoria e teatro, come territorio poetico che Andrea Camilleri ha saputo trasformare in un mondo riconoscibile e insieme universale.
È questo il sentimento che emerge dalle parole del cast che abbiamo intervistato nella nostra rubrica “Su il Sipario”: undici interpreti che si dividono settantadue personaggi, tessendo un racconto collettivo che alterna grottesco e tragedia, riso e ferita, come solo Camilleri sa fare.
Edoardo Siravo, che funge da “doppio” dell’autore, parla dell’incendio realmente avvenuto a Caltanissetta alla fine dell’Ottocento come di un mistero che continua a respirare sul palco: “È il linguaggio che colpisce. Ogni attore porta un pezzo di Sicilia”. Le sue parole rimandano a un Camilleri che unisce Manzoni e il teatro popolare, il sorriso improvviso e il dramma che non dà scampo: “Grottesco e tragedia convivono. È la nostra tradizione”.
Mimmo Mignemi, con ironia tutta siciliana, sintetizza il cuore dello spettacolo: “Si ride relativamente: ci sono otto morti”. Ma è proprio in questa contraddizione che vive il mondo di Vigàta. “Noi siciliani, da una cosa minimale, stupida, riusciamo a creare una tragedia”. Nei suoi Mamè Ferraguto e Don Peppino Mazzaglia si oppongono due modi di esercitare il potere, due maschere che narrano vizi, debolezze e vanità di un’intera comunità.
Federica De Benedittis attraversa due universi opposti: l’erotica e marina Concetta, che parla solo con termini nautici anche quando racconta una notte d’amore, e la drammatica Agatina, che entra in scena per riconoscere il corpo della sorella. “Camilleri è il genio del linguaggio”, dice, e più rilegge il romanzo più scopre nuovi strati: “Ogni rilettura svela qualcosa che prima non avevo visto”.
Paolo La Bruna, Valerio Santi e Vincenzo Volo sottolineano invece l’attualità sorprendente del testo. “Non è il Camilleri di Montalbano” avverte La Bruna. “È più intrigante, più duro, più politico”. Santi racconta la sfida dei continui cambi di personaggio – parrucche, baffi, posture – mentre Volo, nisseno, riporta tutto alla sua terra: “Il teatro Regina Margherita è rimasto chiuso cinquant’anni dopo quell’incendio. Questa storia è vera. È casa”.
Zelia Pelicani Catalano offre la voce di una coralità che rappresenta un’intera comunità: “La corruzione non è finita, e non solo in Sicilia. Raccontarla così è importante”. Luciano Fioretto parla della bellezza delle micro-storie che si intrecciano: “È il modo più bello per far vedere la nostra arte”. Pietro Casano mette in relazione gli opposti del romanzo: il questore Colombo, simbolo della legge, e Don Gaetanino, che incarna il lato oscuro della Sicilia. “Camilleri sa far nascere la risata perfino dentro la tragedia”. Da questo mosaico di voci nasce una Sicilia antica e modernissima, un luogo dove il riso convive con il dolore, dove la farsa sfocia nel fuoco, dove ogni personaggio è un frammento di un’umanità che resiste, che sbaglia, che ride e che si racconta.
Una Sicilia che, per due sere, ha acceso Siena. Domani pomeriggio, alle ore 17, Il birraio di Preston torna in scena per l’ultima replica. Chi vorrà ritrovare Vigàta, con le sue ombre e il suo sole, ha ancora una sola occasione.
(Interviste integrali nel video)