Pracchia (Confcommercio Siena) su Dpcm: "Bar e ristoranti mai individuati come focolai accertati dell’epidemia"

Il direttore di Confcommercio Siena: "Il sistema dei pubblici esercizi stando agli ultimi Dpcm è diventato la versione moderna dell’untore di manzoniana memoria"

Di Redazione | 19 Ottobre 2020 alle 17:42

Pracchia (Confcommercio Siena) su Dpcm: "Bar e ristoranti mai individuati come focolai accertati dell’epidemia"

“Non sono un medico, un virologo, un infettivologo o comunque un esperto in materia sanitaria. Ma una cosa in questi mesi l’ho vista, non avendo mai smesso di recarmi in ufficio dall’ 11 marzo ad oggi: bar e ristoranti non sono mai stati individuati come focolai accertati dell’epidemia”. Inizia così l’intervento ai microfoni di Siena Tv di Daniele Pracchia, direttore di Confcommercio Siena che commenta il nuovo Dcpm presentato ieri 18 ottobre.

“Non lo sono stati dall’11 marzo al 18 maggio, ovviamente, perché avevano il divieto di apertura. Non lo sono stati durante la pur breve stagione estiva, forse grazie anche all’uso di suolo pubblico che ha permesso di mantenere adeguati distanziamenti. Non lo sono neanche adesso, che la stagione precocemente fredda rispetto agli ultimi anni (ahi, l’anno bisestile…) impedisce di utilizzare gli spazi esterni”.

“Di contro, quali sono i contesti nei quali si propaga più diffusamente il virus? – si domanda Pracchia – Il sistema dei trasporti pubblici, stretto tra la logica dei costi a km e la necessità di garantire il distanziamento che, in certe ore e su certe tratte, è facile da osservare quanto il famoso cammello che passa per la cruna dell’ago. Magari si poteva pensare prima alle migliaia di bus di aziende private, orbate dal Turismo, fermi da mesi e con personale in cassa integrazione”.

“Legato ai trasporti c’è il movimento di persone e ragazzi che si muove per arrivare a scuola  – continua Pracchia – Scuola che è ancora senza banchi, non ha ancora gli organici promessi, ha un utilizzo diversificato della didattica a distanza e così via. Visto che è rimasta chiusa da marzo, al 14 settembre si poteva fare anche qualcosa di più”. “E poi, soprattutto, ci sono i comportamenti individuali, sia nell’ambito familiare che lavorativo, che possono innescare vere e proprie reazioni a catena –  fa notare il direttore – Un familiare positivo si traduce in un nucleo familiare a rischio e, non sapendo da quanto il virus stava in incubazione, i cerchi si allargano coinvolgendo altri familiari, colleghi di lavoro o di studio, contatti occasionali”.

“Eppure, in tutto questo, chi viene ad essere toccato in maniera preponderante? Il sistema dei pubblici esercizi, che stando agli ultimi Dpcm è diventato la versione moderna dell’untore di manzoniana memoria –  osserva – Il sospetto è che con questi provvedimenti si voglia buttare fumo negli occhi, addossando a questo comparto responsabilità e colpe che non esistono, ma che servono a mascherare le falle di un sistema che non ha il coraggio di intervenire sui veri nodi del problema”.

“È più facile sanzionare un locale pubblico, magari perché chiude alle 21.01  – afferma Pracchia –  che disperdere un assembramento di persone che insistono a non capire che il contagio non guarda età, censo o sesso”. “Da mesi ci continuano a ripetere che dobbiamo convivere con il Covid – conclude Pracchia  – Ma cosa si è fatto concretamente per tradurre in fatti le parole? Solo atti che mettano a repentaglio il futuro di una specifica tipologia di imprese. È poco, troppo poco. E la sensazione è che questa pochezza dipenda in buona parte dalla scarsa conoscenza del settore che, se fosse meglio conosciuto e meglio utilizzato, potrebbe dare un contributo più significativo al contenimento del contagio”.

 



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