Un’aggiunta solo apparentemente piccola, ma che segna un cambio di passo culturale netto: “violenza maschile contro le donne”. È l’espressione che il rettore dell’Università per Stranieri di Siena, Tomaso Montanari, ha voluto portare al centro della Giornata internazionale del 25 novembre, durante l’evento ospitato nell’aula magna Virginia Woolf e aperto a tutta la comunità accademica, alle scuole e alla cittadinanza.
Una scelta lessicale che non è un dettaglio, ma un atto politico e di responsabilità: “Bisogna aggiungere un aggettivo al titolo della Giornata: violenza maschile. Sono i maschi a fare violenza sulle donne, non perché sia scritto nel nostro codice genetico, come sostiene il ministro della Giustizia, ma perché è scritto nella nostra storia e nella nostra cultura. E storia e cultura si possono cambiare”. Da qui la critica diretta anche alle parole della ministra Roccella: “Dire che l’educazione non serve significa dire che non possiamo fare nulla. Noi invece crediamo che l’Università e la scuola esistano per costruire civilizzazione”.
L’Università per Stranieri ha scelto di aprire la mattinata con un omaggio a una figura simbolo di emancipazione e libertà femminile: Ornella Vanoni. È stato proiettato il video della sua canzone “Ricetta di donna”, un brano che unisce poesia, ironia e autodeterminazione. Una scelta che ha voluto ricordare quanto l’arte e la cultura possano contribuire al cambiamento dello sguardo sulla condizione femminile e sulla violenza maschile.

Dai “15 motivi” di Giulia Cecchettin ai 71 raccolti dalla comunità Unistrasi
Il cuore dell’evento – introdotto dalla presidente del CUG, Tiziana de Rogatis – si ispira ai 15 motivi scritti da Giulia Cecchettin nel suo diario, prima di essere uccisa dal suo ex fidanzato. Una testimonianza intima, simbolica, diventata materiale educativo e civile.
“Sono motivi che parlano di una psicopatologia della vita quotidiana, di una normalità sinistra e inquietante – ha spiegato de Rogatis -. Li abbiamo diffusi tramite un Google Form e la nostra comunità ci ha restituito 71 nuovi motivi: li leggeremo tutti insieme, con le scuole, per far emergere quella cultura che ancora oggi normalizza, mimetizza e naturalizza la violenza”.
Tiziana de Rogatis ha ricordato che si tratta di un lavoro che va oltre il 25 novembre: “Il nostro obiettivo è mostrare il punto di sutura di una cultura che impedisce di riconoscere le derive non solo del femminicidio, ma anche della molestia e dello stalking. È un cambiamento culturale, una rivoluzione culturale, come ha detto Elena Cecchettin, sorella di Giulia, e deve partire dalle scuole e dall’Università”.
Montanari: “Il problema riguarda noi, non gli altri”
Il rettore ha affrontato anche un tema spesso rimosso: la responsabilità delle istituzioni, comprese quelle accademiche. “La nostra comunità non è esente da casi di violenza sulle donne, che assumono forme diverse: prevaricazione, molestie, abusi di potere. L’istituzione della consigliera di fiducia ha permesso di accendere un faro. Alcuni casi diventano procedimenti disciplinari, altri no, ma tutti hanno un peso enorme. Sbaglieremmo profondamente a dirci che siamo immuni”.
Un messaggio rivolto soprattutto agli uomini all’interno dell’università: “In ogni luogo in cui c’è un potere maschile, anche l’università, perfino quando è a maggioranza femminile – come nel nostro caso –, non si può pensare di essere esenti. La cosa riguarda noi”.
La voce della letteratura e dei giovani
A intrecciare parole e emozioni è intervenuta anche l’attrice e drammaturga Chiara Lagani, che ha dato voce ai testi: “È emozionante portare qui la letteratura di grandi autrici come Elena Ferrante, Louise Glück e Kate Manne. Ma la parte più toccante saranno le testimonianze degli studenti e delle studentesse, insieme alla voce di Giulia Cecchettin: un patrimonio emotivo e civile preziosissimo”.
Ad accompagnare la lettura, la musica di Matilde Gori.
Una comunità che guarda in faccia la realtà
L’Università per Stranieri di Siena sceglie dunque una linea chiara: nominare la violenza per ciò che è: violenza maschile, e lavorare sul terreno dove si può davvero incidere, quello della cultura, dell’educazione, del linguaggio.
Perché cambiare le parole significa cambiare la realtà. E riconoscere la responsabilità significa cominciare finalmente a farsene carico.