La rotta del riscatto. Dal Pakistan a Siena, il racconto: "Mi hanno spezzato le dita, oggi con quelle mani cucio"

"Non c'è più spazio nei centri di accoglienza, in Questura ci hanno detto che dobbiamo attendere altri tre mesi", racconta ai nostri microfoni un ragazzo proveniente dal Pakistan

Di Redazione | 7 Novembre 2022 alle 19:14

È partito dal Pakistan cinque anni fa.  Due mesi fa è arrivato in Italia. Adesso Mohsin Wakar si trova a Siena nella casa parrocchiale gestita da Don Domenico. Fino a pochi giorni fa dormiva per strada, in un parcheggio vicino alla Questura. Ha una laurea in Economia, parla benissimo inglese, ma è dovuto scappare perché la sua vita era a rischio per motivi politici.  Il suo è stato un viaggio pieno di ostacoli, gli hanno spezzato le dita lungo il suo tragitto ma lui, oggi, proprio con quelle dita cuce all’interno della sartoria dell’associazione Kirikuci. La sua mano non è stato fermata dall’atroce violenza ricevuta durante la sua odissea, e adesso la porge agli altri migranti che come lui sono in attesa di entrare all’interno del sistema dell’accoglienza, ovvero uscire dall’invisibilità.

“Ho una madre, una moglie e quattro splendide figlie – ci racconta – . Il mio sogno è farle venire in Italia. Ho lasciato il Pakistan perché la mia vita era in pericolo dopo che mio cugino è stato ucciso per un reato di blasfemia. Sono stato in Iran, in Turchia e poi ho attraversato tutti i paesi per arrivare in Italia. Nel tragitto ho avuto problemi con la polizia locale. Non so descrivere a parole tutte le difficoltà che ho vissuto in questi cinque anni, mi hanno anche spezzato le dita. Ma il dolore non mi ha fermato, e adesso ho trovato Don Domenico, che io chiamo padre, e lo faccio dal profondo del mio cuore”. Mohsin sta aiutando la Questura grazie alla padronanza con l’inglese. “Ho una lista che in questo momento comprende 320 persone  arrivate dal Pakistan che si trovano adesso Siena. Hanno preso le impronte digitali a 275 di loro, mancano ancora 45. Questa mattina il capo della Questura ci ha detto che non c’era più spazio nei centri di accoglienza per cui ci vorranno altri  2-3 mesi di attesa. Le persone vivono alla Stazione, tre di loro oggi avevano gravi problemi di salute. E li adesso fa molto freddo”.

Accanto a lui c’è  Saif Ullah. “Ho dormito alla Stazione fino a quando non ho incontrato Don Domenico”, ci racconta. Passava la mattinata in Questura, poi pranzo alla Caritas e fino al giorno dopo restava alla stazione. Proprio da li è stato sgomberato dalla polizia municipale all’una di notte il 17 ottobre.

All’interno della sartoria migrante dell’associazione Kirikuci si cuciono rapporti, si cuciono esperienze. Insieme a Don Domenico (viceparroco della parrocchia di San Bartolomeo a Pilli nel comune di Sovicille) c’e Andrea Searle, responsabile dell’associazione. Qui quello dell’artigianato diventa un lavoro e fra coloro che gravitano all’interno della sartoria c’è anche chi è stato assunto a tempo indeterminato in alcune note aziende. “Abbiamo stretto rapporti con aziende che si trovano ad Abbadia San Salvatore  – spiega Searle -, come i ragazzi originari dall’Africa anche chi arriva dal Pakistan sa cucire”. Don Domenico ospita circa dieci migranti, sia donne che uomini di varie nazionalità. Persone di passaggio che all’interno delle mura della Parrocchia e nella casa dove vengono ospitati lasciano le loro storie attraverso i loro racconti, ma anche attraverso la loro arte e il loro mestiere.  Un mestiere che troppo spesso viene messo da parte al momento del loro arrivo di fronte alla necessità di sopravvivere.

Simona Sassetti , Filippo Meiattini



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