Caso David Rossi, gip: "Indagini carenti ma niente dolo. Ex escort attendibile"

Le argomentazioni del gip di Genova nelle 10 pagine del decreto di archiviazione dell'inchiesta sui festini. Nessuna interferenza tra le indagini e l'esistenza dei presunti incontri a luci rosse, l'ordinanza viene inviata Csm per valutare eventuali profili disciplinari. Le indagini sulla morte di Rossi: "Fu sbagliato distruggere i fazzoletti insanguinati"

Di Redazione | 20 Gennaio 2021 alle 10:31

Caso David Rossi, gip: "Indagini carenti ma niente dolo. Ex escort attendibile"
Indagini carenti, ma nessun reato di abuso d’ufficio e di favoreggiamento della prostituzione. Attendibile il racconto dell’ex escort“. Si può riassumere così il decreto di archiviazione di 10 pagine firmato il 18 gennaio dal gip di Genova Franca Borzone, che ha chiuso il cerchio intorno il rumoroso caso dei presunti “festini” a base di cocaina e sesso, di cui si ipotizzava l’oscuro legame con la morte dell’ex capo comunicazione di Mps David Rossi.
L’indagine si era aperta a seguito dalle dichiarazioni rubate dalle Iene all’ex sindaco di Siena, Pierluigi Piccini, durante uno dei servizi mandati in onda sul caso della morte di Rossi.
Secondo il giudice, come detto, si riscontrano carenze nelle indagini, ma non c’è dolo intenzionale. Non vengono dimostrate interferenze tra le indagini e l’esistenza dei presunti festini ai quali si diceva partecipassero pezzi da novanta della società senese ed elementi della magistratura.
Il giudice però, ritiene attendibile l’ex escort, sentito anche a Genova dopo i suoi racconti a Le Iene. “Ha reso dichiarazioni sufficientemente precise e ha proceduto nel corso del suo esame a identificazioni fotografiche dall’esito positivo, sebbene successivamente a quelle somministrate da alcuni giornalisti” è la motivazione del gip, che continua così “Tali circostanze, unitamente alle minacce ricevute nei giorni antecedenti l’udienza camerale, consentono di formulare un primo vaglio positivo dell’attendibilità di tali dichiarazioni, sebbene, esse possano valere solo a fini di responsabilità disciplinari”.
Il Gip genovese parla anche di possibili sanzioni che potrebbe disporre il Consiglio Superiore della Magistratura, in quanto eventuali reati risulterebbero invece prescritti nell’agosto 2019, e quindi non perseguibili.
“Il pm, pur ritenendo le indagini caratterizzate da alcune carenze”, si legge nel decreto, “ha evidenziato come, perciò solo, non sia affatto possibile trarre gli elementi costitutivi di reato, né tantomeno, il dolo intenzionale richiesto dall’art. 323 c.p. (abuso d’ufficio, ndr) finalizzato ad ostacolare la verità per conseguire un ingiusto vantaggio, oppure arrecare a altri un ingiusto danno”. Dunque anche l’ordinanza del Gip, come già il fascicolo dell’indagine di Genova, è stata trasmessa al Csm per valutare eventuali profili disciplinari.
Il giudice, nelle sue motivazioni, fa un passo indietro alle prime indagini del marzo 2013 legate alla misteriosa morte di Rossi, tornando in particolare sul discusso provvedimento di distruzione di 7 fazzoletti imbrattati di sangue, mai analizzati, provvedimento lo definisce il giudice, “errato nella forma e prematuro nella sostanza, può trovare alternativa lettura, sia sotto forma di imperizia che di presuntuosa convinzione d’una tesi, pure superficiale, ma non univocamente rivelatrice della precisa volontà di non indagare su elementi di rilievo”.
Non solo, il gip Borzone si sofferma anche sull’ipotesi fin da subito sostenuta dagli inquirenti, di istigazione al suicidio. “Il luogo in cui il corpo giaceva, la finestra spalancata dell’ufficio, le lettere di addio rinvenute accartocciate nel cestino della stanza, l’assenza di segni di colluttazione, l’ispezione medico legale, costituivano spunti per ben ipotizzare – afferma – in quel preciso momento, un evento suicidario, intorno al quale, tuttavia, appariva necessario verificare ipotesi di istigazione”.
In ogni caso le carenze evidenziate nell’atto di opposizione all’archiviazione, per quanto condivise dal pm, non possono bastare per ipotizzare una volontà di insabbiamento. “Nulla – puntualizza infine il giudice – è emerso circa indebite remunerazioni, o promesse di esse, in qualche modo ricollegabili alla vicenda giudiziaria, nell’ipotesi che le indagini fossero state condizionate da terzi con prospettive remuneratorie”.

 



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